Nel 2006 usciva in esclusiva per Playstation 2 un picchiaduro a scorrimento intitolato God Hand. Pubblicato da Capcom e diretto da Shinji Mikami (autore di alcuni classici del calibro di Bio Hazard/Resident Evil, Dino Crisis e, più recentemente, Vanquish), il titolo venne accolto in modo molto tiepido dal pubblico e venne sonoramente “bastonato” dalla “critica specializzata”.
A oltre dieci anni dalla sua uscita proviamo a capire se God Hand è realmente “spazzatura” oppure se, sotto la sua scorza grezza e all’apparenza poco rifinita, si nasconde invece una piccola perla dimenticata.
Io sono la Mano di Dio – La storia
La trama di God Hand è molto semplice: vestiremo i panni di Gene, un giovane guerriero dotato di un potere misterioso e più antico del tempo stesso. Il braccio destro del ragazzo, infatti, è “controllato” da una forza mistica chiamata “God Hand”. Gene però non è il solo a possedere un tale potere: un altro giovane, Azel, è il legittimo proprietario della cosiddetta “Devil Hand”, un’arma simile (e, forse, molto più potente) a quella contenuta nel braccio di Gene.
In un susseguirsi di scontri all’ultimo sangue e situazioni al limite del ridicolo, i due guerrieri saranno chiamati a combattere l’uno contro l’altro in una battaglia che, forse, potrebbe cambiare definitivamente il destino dell’umanità…
Come si può capire da questa breve sintesi, la storia di God Hand non brilla affatto per originalità. Al contrario, Shinji Mikami sembra voler mettere alla prova i giocatori, testando la loro conoscenza della cultura pop orientale e occidentale. Nel gioco, infatti, si susseguono tutta una serie di citazioni e omaggi non solo a film ma anche a fumetti/manga (come ad esempio Hokuto no Ken, conosciuto in Italia come Ken il guerriero), anime e persino a opere musicali (uno dei boss che dovremmo affrontare, il demone Elvis, è caratterizzato da movenze che ricordano molto da vicino il compianto Re del Rock and Roll.
Oltre alle citazioni e ai rimandi, la trama dell’opera è caratterizzata da una lunga serie di gag comiche, più o meno riuscite. Nel corso delle nostre peregrinazioni alla ricerca di Azel saremo chiamati a batterci (in ordine più o meno casuale) contro un gorilla travestito da luchador messicano (dotato anche di una bizzarra, quanto inspiegabile, zip sulla schiena), un cantante rock sfatto e semi effeminato e – i miei preferiti – un gruppo di cinque nani travestiti da Power Rangers.
Posso ben immaginare che, per molti, un tale tipo di umorismo sia totalmente fuori luogo e privo di senso ma, credetemi, nel contesto di God Hand tutte queste stranezze hanno una loro senso e una precisa ragion d’essere.
Botte da orbi e tecnicismi – Il gameplay
Passiamo ora al cuore pulsante dell’opera, ovvero il gameplay. In questo caso, signori e signore, ci troviamo di fronte a un signor gioco, con la G maiuscola.
Se dovessi descrivere il gameplay con alcune parole chiave, potrei usare: logica, pianificazione e personalizzazione. Proviamo a spiegarci meglio, sviscerando ogni concetto in modo chiaro ma conciso.
God Hand è un gioco che, pur bizzarro e fuori dagli schemi, segue una struttura logica ben precisa. L’avventura è caratterizzata da otto livelli, a loro volta suddivisi in diversi stages. Questi ultimi si possono dividere grossomodo in due macrocategorie che, in modo ironico, potremmo chiamare blasta e colleziona e picchia ma con cognizione di causa.
Nel primo caso, saremo chiamati a sconfiggere una serie di nemici posizionati in una mappa di gioco abbastanza ampia, raccogliendo al contempo dei token (chiavi, croci…) in grado di sbloccare lo stage successivo. In questo tipo di stage il gioco scorre (mi si scusi il gioco di parole) in modo alquanto lineare e semplice. I “cattivi” si troveranno a coppie oppure a terzetti e il nostro compito sarà quello di abbatterli nel modo più brutale e violento possibile.
Nel secondo caso, invece, saremo chiamati a batterci contro uno (o più) boss di fine livello. In questo caso, oltre ad essere brutali e violenti, occorrerà usare una sana dose di materia grigia. Ogni boss, infatti, è caratterizzato da un preciso punto debole e da alcuni pattern che andranno imparati quasi a memoria per poter riuscire a sconfiggerli una volta e per sempre.
Questa considerazione ci porta alla seconda delle nostre parole chiave, ovvero la pianificazione. God Hand non è un picchiaduro “ignorante”, nel quale basta premere i tasti a casaccio per vincere. Al contrario, un approccio di questo tipo porterà inevitabilmente a una bruciante sconfitta nel giro di pochi secondi.
Nel corso della mia prova ho notato che nessun nemico – a parte un mini boss verso la fine dell’avventura – può essere sconfitto “spammando” un’unica mossa. Al contrario, ogni avversario cercherà di adattarsi rapidamente al nostro stile, ricorrendo a volte a piccoli e grandi “sporchi trucchi” contro il nostro protagonista.
In altre parole, per poter trionfare sulle forze del male dovremo seguire tre “semplici” passi: posizionarsi correttamente di fronte al nemico, aspettare la sua reazione e contrattaccare al momento giusto. Ogni scontro assomiglia quasi a un balletto nel quale dovremo essere sia versatili che imprevedibili. Non l’ascia ma il fioretto: ecco la vera essenza di God Hand.
Tutto bello e buono, dunque? No, non proprio. Fin dalle prime battute saremo chiamati a confrontarci con un sistema di controllo grezzo, non proprio intuitivo ma allo stesso tempo incredibilmente raffinato. Il nostro protagonista, Gene, può muoversi liberamente solo in avanti e all’indietro mentre per girare a destra e a sinistra dovrà compiere una rotazione semicircolare oppure affidarsi al più classico degli strafe (quasi come negli FPS old school). Oltre a ciò, occorre sottolineare che non esiste un unico tasto per parare gli attacchi nemici: tale funzione è allocata allo stick destro che ci permetterà di schivare in avanti, saltare all’indietro, compiere un “passettino” a destra o a sinistra a seconda della direzione che sceglieremo.
Mi rendo conto che la descrizione di questo sistema pare fumosa e un po’ macchinosa ma, credetemi, dopo pochi minuti di gioco saremo in grado di muovere Gene in modo naturale e fluido, facendogli compiere allo stesso tempo azioni degne del più classico (ed epico) anime o manga.
I quattro pulsanti frontali del controller Playstation (cerchio, triangolo, quadrato e croce) sono invece interamente dedicati al “picchia picchia”. Con il quadrato potremo inanellare una combo composta da quattro “mosse” ben precise mentre con il triangolo e la croce tireremo “calcioni sonici” sulle gengive dei nostri nemici. Con il cerchio, infine, saremo capaci di raccogliere i vari oggetti o power up sparsi per i livelli e, allo stesso tempo, counterare alcune mosse dei boss e dei nemici “semplici”.
Infine, il sistema di controllo è caratterizzato da altri due, importantissimi tasti. Con il tasto R1 apriremo una ruota che ci permetterà di colpire i nostri avversari con una “tecnica segreta”. Ogni tecnica, per funzionare, ha bisogno di un determinato quantitativo di energia (da uno a tre “pallini”) che può essere immagazzinata raccogliendo delle speciali carte da gioco sparse nei livelli. Ognuna di queste tecniche segrete è una pura gioia per gli occhi e alcune di esse sono caratterizzate da un livello di epicità/wtf non di poco conto. Ad esempio, nel corso dell’avventura potremmo imbatterci in un’abilità chiamata Home Run God che – come si può intuire – consiste nel colpire il malcapitato nemico con una mazza da baseball di pura energia… spedendo il povero tapino direttamente fuoricampo!
Con il tasto R2 invece si innesca il potere della “God Hand”: Gene sarà invulnerabile per una manciata di secondi e potrà sferrare attacchi al doppio della velocità normale. Questa mossa, che viene “caricata” in modo similare alla ruota che abbiamo descritto poc’anzi, si rivelerà utile soprattutto contro i boss di fine livello. Attraverso il suo sapiente uso, infatti, so potranno fare molti danni al proprio avversario, avvantaggiandosi non poco.
E l’ultima parola chiave? Ah, mi sono scordato di dirvi che tutti i tasti di azione (ad eccezione di R2) sono totalmente personalizzabili. Si, avete capito bene. Il nostro protagonista non sarà obbligato a seguire sempre il medesimo stile nel corso dell’avventura ma più andrà avanti, più sarà in grado di sbloccare tecniche micidiali e colpi in grado di abbattere (quasi) senza colpo ferire anche i nemici più ostici. Alla fine di ogni stage, infatti, potremo visitare due aree: il negozio e il casinò. Il primo è il luogo dove acquistare (o vendere) le tecniche e i potenziamenti che meglio ci aggradano mentre il secondo è l’edificio dove potremo tentare la fortuna con alcuni mini giochi, aumentando così il gruzzolo nelle nostre tasche.
Questa personalizzazione (che raggiunge livelli, oserei dire, quasi “maniacali”) è assolutamente necessaria se si vuole procedere nell’avventura. Il piacere di adattare il proprio stile ai vari scontri, cambiando set di mosse all’occorrenza non fa altro che rendere ancora più profondo un gioco che fa del tecnicismo e del ragionamento la sua ragion d’essere.
Bello bello in modo assurdo (cit.) – Grafica, sonoro, difficoltà
Prima di concludere, affrontiamo ancora alcuni aspetti importanti. In primo luogo, la grafica e il sonoro. God Hand non si caratterizza per tecnicismi mozzafiato o innovazioni in grado di farci gridare al miracolo. Al contrario, il gioco ha una grafica semplice, dettagliata e che fa il suo sporco lavoro senza infamia né lode.
I modelli poligonari (sia del protagonista che dei nemici) sono ben caratterizzati mentre, per quanto riguarda i vari stages, il gioco punta a offrire ambienti piuttosto spartani e pachi di dettagli. Devo dire che questo difetto – perché di questo si tratta – non ha compromesso inevitabilmente la mia esperienza di gioco. Avrei forse preferito ambienti più “vivi” e meno “vuoti” ma… queste sono minuzie che non inficiano il valore dell’opera.
Per quanto riguarda invece il comparto audio, il lavoro svolto dalle varie voci è assolutamente oltre la media: ogni personaggio è caratterizzato in modo eccellente e ogni voce ha un suo spessore e dignità all’interno dell’opera. Anche le musiche si attestano su di un ottimo livello anche se, alla lunga, possono risultare un poco ripetitive.
Infine, soffermiamoci ancora su un ultimo elemento, ovvero il grado di difficoltà dell’avventura. God Hand è un gioco impegnativo, caratterizzato da una difficoltà medio/alta. Devo dire che dopo anni di “press X to win” mi sono ritrovato piacevolmente sorpreso nel trovare un’opera nella quale non siamo accompagnati per mano o siamo dotati di “aiutini” in grado di rendere la nostra vita più facile (salute che si rigenera, nemici dotati di un IA pari a quella di un blocco di ghisa… e l’elenco potrebbe continuare!).
Alcune volte, soprattutto nel corso della seconda parte dell’avventura, ho provato un senso di frustrazione misto a “fastidio” per alcuni avversari disgustosamente OP (overpowered, per i non avvezzi). Tale sensazione però non mi ha portato al proverbiale ragequit ma, al contrario, mi ha spinto a superare i miei limiti, cercando una soluzione logica al problema.
In altre parole, God Hand non è un gioco da OMG, too difficult…I quit ma è un’opera in cui per prevalere occorre non solo buona memoria ma anche tanta pazienza, virtù che forse nell’epoca videoludica del “tutto e subito… ti piace vincere facile?” si stanno tristemente perdendo.
In conclusione
God Hand è un titolo “per molti ma non per tutti”. Se da un lato è caratterizzato da un sistema di combattimento che ancora oggi, nell’anno di grazia 2018, è nettamente superiore a quello di molti titoli AAA, il gioco presenta alcune spigolosità che potrebbero far storcere il naso ad alcuni giocatori. Sto parlando, ad esempio, del sistema di controllo alquanto legnoso o della curva di difficoltà piuttosto impegnativa.
Il titolo comunque è caldamente consigliato a tutti gli amanti dei picchiaduro a scorrimento che non disdegnano le sfide impegnative. God Hand è un piccolo gioiello in grado di stupire: dategli una possibilità e non ve ne pentirete!
Riassunto
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Riassunto
God Hand è un gioco senza mezze misure: scanzonato, over the top e caratterizzato da situazioni in cui serietà e wtf si mescolano senza soluzione di continuità. Dotato di una curva di apprendimento alquanto ripida, il gioco presenta meccaniche di combattimento ancora oggi all’avanguardia, in grado di tenere testa a titoli molto più noti e blasonati.
Consigliato a chi cerca un gioco longevo, impegnativo ma dannatamente addictive e divertente.