Negli ultimi anni il Canada ha dimostrato di essere una nazione capace di produrre pellicole di qualità, a medio o addirittura basso budget. Il film di cui parliamo oggi, The Void, non fa eccezione.
Scritto e diretto da Steven Kostanski e Jeremy Gillespie, questo horror ad alta tensione omaggia alcuni classici della letteratura e del cinema anni Ottanta e Novanta, con particolare attenzione alle opere di due “giganti” come H.P. Lovecraft e John Carpenter.
Senza via di fuga: un ospedale da brividi
La storia proposta da The Void vede come protagonista il vice-sceriffo Daniel Carter. Figlio di un noto (e amato) agente di polizia, l’uomo vive e lavora in una piccola e tranquilla cittadina canadese.
Una notte, nel corso di un pattugliamento, Carter trova per strada un uomo gravemente ferito. I due si dirigono immediatamente all’ospedale più vicino dove l’uomo viene soccorso dalla ex moglie di Carter, un’infermiera, e dal dottor Powell, amico di vecchia data del vice-sceriffo.
Lentamente la situazione inizierà però ad assumere toni sempre più inquietanti e terrificanti. Quella che sembrava un’operazione di routine si trasformerà, per Carter e le altre persone barricate nell’ospedale, in una lotta senza quartiere contro una misteriosa setta di uomini incappucciati, al servizio di un’entità sovrannaturale e proveniente da un altro mondo.
Un frullato di grandi classici, please
Come è già intuibile dalla breve sinossi riportata qui sopra, The Void omaggia diversi autori del cinema o della letteratura horror e sci fi. I due richiami più evidenti, come detto, sono quelli a H.P. Lovecraft e a John Carpenter ma non mancano alcune citazioni a pellicole come Hellraiser o Night of the Living Dead di George Romero.
Se questo citazionismo è ormai pratica consolidata nel cinema horror/sci fi degli ultimi anni – e a volte risulta essere solo un modo per coprire e celare la mancanza di vere e proprie idee – The Void usa questi omaggi come i pezzi del Lego, smontandoli e rimontandoli in forme sempre diverse e non scontante.
Per quanto riguarda l’atmosfera, ad esempio, i rimandi e le citazioni tratte da due opere carpenteriane come Assault on Precinct 13 e The Thing sono utilizzati per dare spessore e forza all’ambiente in cui i protagonisti – dieci, in tutto – si muovono.
Allo stesso modo, i chiari omaggi alla produzione lovecraftiana (The Call of Cthulhu, The Dunwich Horror e The Shadow Over Innsmouth) sono utilizzati nella pellicola per dare spessore a un universo piccolo ma coerente, caratterizzato da un sottile senso di inquietudine e irrazionalità che serpeggia poco al di sotto delle apparenze.
Guardando il film, infatti, lo spettatore si renderà più volte conto dell’aperta dissonanza tra l’apparente calma e tranquillità della cittadina dove si svolge la vicenda e il suo vero volto, fatto di orrori inenarrabili e di brutale violenza. I cultisti incappucciati, fermi fuori dall’ospedale, sono il muto presagio di un orrore difficile da comprendere e da capire per i non adepti, un orrore che è in gradi di infiltrarsi nelle pieghe della sonnacchiosa provincia canadese, chiedendo a gran voce un continuo tributo di sangue.
Per riassumere, il rapporto pellicola/citazionismo segue in questo caso la strada più difficile ma, allo stesso tempo, più appagante: i due registi/sceneggiatori usano infatti le citazioni non come semplici “specchietti per le allodole” ma al contrario come mezzo per rafforzare e rendere ancora più solida la struttura narrativa che regge l’opera.
Homemade Horror: nel solco della tradizione
Oltre alla storia, ottimamente delineata, un altro punto a favore della pellicola risiede nell’utilizzo di effetti speciali “artigianali”. Questa scelta, all’apparenza rischiosa, si rivela invece del tutto coerente e azzeccata con il tono della pellicola.
Fin dalle prime battute, il duo di registi/sceneggiatori abbandona consciamente l’uso della CGI e di elaborati effetti speciali digitali per ritornare agli effetti “old school”, seguendo le orme di maestri del calibro di Rob Bottin e Tom Savini. Come in un horror di Romero o in un’opera di Carpenter, The Void ci presenta un orrore “fisico”, realistico e palpabile, costituito da ettolitri di sangue, membra lacerate e mutazioni fisiche che vengono ricostruite e rappresentate con una certosina – e quasi maniacale – ricerca del dettaglio.
Questi effetti speciali sono stati realizzati grazie al denaro raccolto – oltre 82 mila dollari – attraverso la piattaforma IndieGoGo. Il design di ciascuna creatura appare unico e sempre ben fatto e, fortunatamente, l’uso di questi effetti non scade mai né nel goffo né nel ridicolo involontario.
Al contrario, l’uso di effetti “fatti in casa” rende la pellicola ancora più vicina alle sue due fonti di ispirazione. L’orrore – come ci insegnano Lovecraft e Carpenter – è infatti qualcosa che può vivere (e convivere) insieme a noi e nascondersi nei posti più impensabili, anche in un piccolo ospedale di provincia.
In conclusione
The Void è un piccolo film che riesce a sfruttare totalmente il suo potenziale, regalando agli spettatori un’esperienza intensa e interessante. Pur riproponendo alcune tematiche già affrontante, la pellicola riesce a mantenere una cifra “autoriale” propria, sempre in bilico tra il ricordo del passato e la ricerca di nuovi modi per stupire e colpire allo stomaco lo spettatore.
In conclusione
Riassunto
The Void rischia seriamente di diventare un piccolo classico moderno. Sorretto da un’ottima recitazione e da effetti speciali convincenti, la pellicola tiene incollati alla poltrona anche gli spettatori più esigenti e avvezzi al genere. Consigliato caldamente per una serata all’insegna degli “orrori inenarrabili”.