Ah, il lavoro in ufficio: riunioni, tempistiche da rispettare, badge da timbrare, stress, altre riunioni e… morti violente? Questo, in sintesi, è il succo di The Belko Experiment, un horror/thriller del 2016 diretto da Greag McLean e sceneggiato da James Gunn, noto ai più come regista di Guardians of the Galaxy. Proviamo ad analizzare insieme la pellicola e capire quali siano i suoi (pochi) pregi e i suoi (molti) difetti.
Big Bother is watching you
La Belko Industries, una (generica) industria statunitense con sedi in diverse parti del mondo, decide di aprire un ufficio in Colombia e più precisamente a Bogotà. Gli impiegati, in parte autoctoni e in parte statunitensi, si apprestano a vivere il loro primo giorno di lavoro, tra tensioni, antichi amori e nuove amicizie.
All’improvviso, l’inaspettato: tutte le finestre della struttura vengono sigillate ermeticamente e una sinistra voce annuncia, con tono fermo e deciso, che gli ottanta impiegati presenti nell’edificio dovranno dare vita a un lento ed estenuante gioco al massacro che, alla fine, farà emergere un solo vincitore. Chi sarà l’ultimo a sopravvivere?
La storia, riportata qui sopra per sommi capi onde evitare spoilers, non è delle più originali e si inserisce in un filone abbastanza nutrito di pellicole nelle quali ciò che conta sono le dinamiche e le interazioni tra i vari protagonisti. Qui ci troviamo, purtroppo, di fronte al primo grande limite della pellicola, ovvero la caratterizzazione dei personaggi.
Quando la bidimensionalità non è un pregio
Fin dalle prime battute, The Belko Experiment si caratterizza per una struttura che potremmo definire “a terzetti”. Se, sulla carta, questa idea appare alquanto sfiziosa, la sua esecuzione risulta il più delle volte forzata e priva di brio. I tre protagonisti principali (Mike Milch, la sua fidanzata Leandra e il capo della sicurezza Evan) vengono scarsamente caratterizzati e appaiono il più delle volte quasi come figure apparse un po’ per caso nella pellicola, totalmente spaesati o fuori posto.
Alcuni potrebbero obiettare che, nella situazione di panico che ci viene presentata nella pellicola, non c’è molto tempo per fornire a questi personaggi un background degno di nota. Mi si permetta di dissentire: in questo caso, infatti, i nostri tre eroi sono totalmente piatti, scialbi e privi del benché minimo spessore. James Gunn sembra quasi volerci dire che noi spettatori dobbiamo “tifare” per loro in quanto “buoni a prescindere” ma questa appare in verità come una mera scusante per nascondere una vera e propria carenza di idee.
Non va meglio con i tre cattivi, anche loro piatti e senza una vera propria motivazione se non quella di essere “cattivi perché ci han disegnato così”: i due responsabili dell’ufficio Barry e Wendell (malvagi in quanto, forse, metafora dei capoufficio cattivi?) e l’impiegato Terry che viene caratterizzato fin dai primi minuti come il classico creepy guy che cerca di approcciarsi malamente alle sue colleghe di ufficio.
La piaga della mancanza di caratterizzazione colpisce anche i comprimari che, sottili come carta velina, si confondono quasi con lo sfondo e non riescono a dare un contributo significativo allo svolgimento della trama. A proposito di quest’ultima, occorre anche in questo caso fare alcuni appunti.
Perdere la bussola: lo stai facendo bene
Come abbiamo visto a inizio recensione, The Belko Experiment è una pellicola che si inserisce in un filone ben preciso, ovvero quello degli horror/thriller ambientati in spazi angusti e chiusi. Qui non ci sono killer o mostri da cui scappare ma “semplicemente” una misteriosa voce che mette in guardia i protagonisti, detta loro regole e impone scelte il più delle volte dagli esiti drammatici. La logica sottesa in tali pellicole è quindi, banalizzando un poco, “sopravvivi e cerca una via di uscita prima che qualcuno ti accoppi”.
Partendo da questa base, James Gunn scrive una sceneggiatura che parrebbe rispettare tale ragionamento ma che, alla lunga, appare essere uno strano pasticcio di momenti “logici” (i protagonisti non fanno le tipiche scelte “da horror” ma al contrario si comportano in modo razionale di fronte a una minaccia invisibile e all’apparenza inarrestabile) inframezzati da parti totalmente sconclusionate o che negano palesemente le regole del genere (tanto per fare un esempio, senza spoilerare troppo, uno dei protagonisti è come protetto da una sorta di “scudo invisibile” in grado di salvarlo ogni volta che si trova a un passo dalla morte).
Se è vero che a volte la scelta di sovvertire le regole e i canoni di un genere risulta essere geniale e innovativa, in questo caso purtroppo appare un flebile tentativo di salvare il salvabile, cercando di portare a compimento una storia che, sotto sotto, non decolla mai. Neppure l’espediente usato nel finale appare del tutto convincente. La pellicola tenta in pochi minuti una svolta action che però non è solo mal girata ma non è neppure funzionale al messaggio che si vuole portare avanti nel film.
Questo è forse l’unico vero pregio della pellicola, ovvero quello di mostrare come, in situazioni di forte stress, anche l’essere più pavido e indifeso può trasformarsi in una belva assetata di sangue (possibilmente altrui). E’ vero che il cliché del “debole che diventa forte per sopravvivere” è stato trattato ad nauseam negli horror ma in The Belko Experiment questo tema è comunque trattato in modo convincente anche se forse un po’ troppo frettoloso.
In conclusione
Prima di tirare le fila del discorso, ancora una piccola nota sugli effetti speciali. La pellicola cerca in un primo momento la strada dell’horror di atmosfera puntando più sulla paranoia che sui fiumi di sangue. A partire dalla metà del film in poi si finisce invece in una sorta di spatter “vorrei ma non posso”. Alcuni effetti appaiono ben confezionati e choccanti al punto giusto ma anche qui, come nel caso della sceneggiatura, si cade a volte nell’uso della “maschera in lattice che gronda salsa di pomodoro”: non un bel vedere, diciamo.
Cosa dire in chiusura? The Belko Experiment, il cui trailer mi aveva pienamente convinto, si è rivelato invece una mezza fregatura. Non un film brutto o da evitare a prescindere ma, peggio, un film piatto e vuoto: non credo ci sia condanna peggiore per un horror/thriller.
In conclusione
Riassunto
The Belko Experiment è una delle più classiche occasioni mancate. La pellicola parte da una base apparentemente solida che però dopo pochi minuti si scioglie come neve al sole. La sceneggiatura di James Gunn appare piatta e priva di mordente, i personaggi sono caratterizzati in modo abbozzato e sommario, gli effetti sono un misto di alta qualità e trovate “a basso costo” che mal si sposano con il clima generale della pellicola. Non un completo disastro ma di certo una solenne delusione.