White Zombie. No, non è il nome di un cocktail alla moda di un (pessimo) bar di Milano ma è essenzialmente due cose: il titolo di un classico horror del 1932 con Bela Lugosi – considerato da molti come il primo film a mettere in primo piano gli zombi – e il nome di una band ufficialmente scioltasi alla fine degli anni Novanta che aveva come leader Robert Bartleh Cummings, meglio conosciuto come Rob Zombie.
Il buon Rob, maestro dell’eccentrico e del cheap thrill, continuò la sua carriera anche dopo la fine della band, producendo alcuni pezzi di spessore:
Artista dalle mille sfaccettature e maestro della citazione (e dell’autocitazione), all’inizio degli anni Duemila il buon Rob decise di entrare a gamba tesa nel mondo del cinema, dirigendo nel 2003 House of 1000 Corpses.
La pellicola, ambientata in Texas nel 1977, segue le vicende di un gruppo di giovanotti poco svegli alle prese con la famiglia Firefly composta interamente da freaks, deviati e paranoici: in una parola, serial killer. Il film è la sagra del gore che, però, allo stesso tempo non rinuncia ad alcuni atteggiamenti abbastanza furbetti che strizzano l’occhio non solo al cinema slasher degli anni Settanta/Ottanta ma anche alle pellicole più recenti che, pur nella loro apparente “sporcizia”, appaiono “perfettine” e ben sistemate, quasi studiate a tavolino inquadratura per inquadratura.
Il film ebbe un buon successo e spinse il regista a far uscire due anni dopo un sequel, The Devil’s Rejects, che pur inferiore alla pellicola precedente presentava alcune soluzioni visive interessanti e un finale nel quale l’uso di un pezzo iconico come Free Bird dei Lynyrd Skynyrd riusciva, in parte, a donare un tono quasi da epopea all’intera storia.
Fast foward al 2014, anno in cui il regista annuncia attraverso un inquietante immagine teaser (quella che vedete campeggiare all’inizio di questo pezzo) la sua nuova, ultima fatica: 31. A differenza di quanto accaduto in passato, Zombie decide di non passare attraverso il meccanismo delle majors – che pure lo avevano pienamente sostenuto finanziando il remake della pellicola cult Halloween e il suo sequel – ma di farsi finanziare interamente dai fans, attraverso una raccolta fondi su fanbacked.com.
In un’intervista video rilasciata alla rivista Revolver, il regista spiega i motivi che lo hanno spinto a una tale scelta:
Interessante (e ci torneremo sopra quando tireremo le somme) è la seguente affermazione:
As the years go on, the game changes all the time, and a movie that you could get made years ago, you cannot get made anymore, because the business changes, things change. […] People will say, ‘Why don’t you make movies like this? Why don’t you make movies like that?’ And I always say, ‘Because no one will give you the money to make movies like that anymore’. Because if you wanna do stuff outside the system, you’ve gotta function outside the system.
In altre parole, Zombie si è sentito in un certo modo oppresso e impossibilitato dalle majors di girare un film che rispettasse appieno la sua estetica gore e il suo gusto. Si è così rivolto ai suoi fans in Rete per raccogliere il denaro necessario per comporre la sua opera in modo libero, autonomo e interamente outside the system.
Le mie aspettative, dopo una tale dichiarazione in pompa magna, erano alquanto alte. Mi sbagliavo, mi sbagliavo di grosso.
La trama di 31 è poco più di un pretesto. Un gruppo di persone che lavora per un luna park itinerante viene catturato da un gruppo di sadici vestiti in abiti settecenteschi (no, non è Sensualità a Corte, purtroppo) e costretto a partecipare a un terribile gioco al massacro, denominato “31”, che li vedrà contrapposti a una serie di personaggi sempre più psicotici (?) in un ambiente chiuso e claustrofobico. Il loro compito è sopravvivere indenni per dodici ore: solo così potranno ricevere in cambio l’agognata libertà.
Come si può notare la premessa non è delle più ghiotte e in più lo svolgimento della vicenda appare rozzo, artefatto e banale. Il regista sciorina i suoi soliti classici: ambientazione anni Settanta, sangue a fiumi, gore e blasfemia assortita. Se nei suoi primi due film questi elementi potevano sembrare innovativi, o almeno ben fatti, qui abbiamo toccato il fondo del barile.
La recitazione dei protagonisti appare forzata e perennemente sopra le righe: tutti cercano di fare i badass senza però minimamente riuscirci. Gli antagonisti dei nostri eroi sembrano usciti da una barzelletta mal raccontata: c’è il nano messicano nazista, il tedescone in tutù e reggicalze bianco (?!) e la coppia di gemelli clown psicopatici che sembrano usciti da una mitologica scena dei Simpson:
In conclusione, un’occasione sprecata da parte del regista che non prova neppure a sperimentare o a innovare leggermente la propria poetica ma si appiattisce su sé stesso, propinando alle persone che lo hanno finanziato (e non solo) uno stantio more of the same. Se è vero che l’idea di utilizzare lo strumento del crowdfunding per rimanere “outside the system” poteva sembrare interessante, a mio parere è stata sfruttata poco e male.
In chiusura
Pellicola sconclusionata e priva di qualunque mordente: bocciata sotto ogni punto di vista.