Nel corso degli anni Ottanta la popolarità di Batman e delle sue avventure toccarono livelli mai raggiunti in precedenza. Forte del successo riscosso dall’omonimo film del 1989, la DC Comics decise di lanciare proprio in quell’anno una nuova testata dedicata al cavaliere oscuro: Legends of the Dark Knight.
La rivista, la cui run sarebbe terminata nel 2007, era destinata a un pubblico adulto e presentava storie autoconclusive che, il più delle volte, andavano a toccare argomenti scabrosi o difficilmente trattabili nella serie ufficiale. Ad esempio, si possono citare Venom (numeri 16-20) in cui Batman sperimenta in prima persona gli effetti della tossicodipendenza e dell’assuefazione da droghe, KnightsEnd (numeri 62-63) nella quale vengono poste le basi per il ritorno di Bruce Wayne come Batman a tempo pieno e infine la storia di cui parleremo oggi: Going Sane.
Memorie di un clown
In una Gotham City quasi paralizzata dal freddo, Joker e Batman si affrontano in quello che, all’apparenza, sembra essere un classico scontro. Questa volta, però, le cose vanno in maniera inaspettata: la sanguinosa battaglia si conclude infatti con la vittoria del subdolo principe del crimine e con la morte del cavaliere oscuro.
Ormai senza una nemesi da affrontate, Joker decide di cambiare vita. Dopo un intervento di chirurgia plastica che cancella in modo definitivo il suo ghigno satanico, l’ex supercattivo si ricostruisce una nuova identità. Usando lo pseudonimo di Joseph Kerr, l’uomo cerca di rimettere insieme i frammenti della sua psiche, finendo anche per innamorarsi della sua bella vicina di casa.
All’improvviso, però, qualcosa cambia: e se Batman non fosse veramente morto? Joker/Joseph Kerr, venuto a sapere della notizia, sarà realmente in grado di mantenere la retta via oppure cadrà ancora una volta vittima della sua lucida follia?
It takes two to go insane…
Scritta dal veterano J.M. DeMatteis, Going Sane rappresenta un riuscito tentativo di fornire nuova linfa al personaggio di Joker, umanizzandolo ma allo stesso tempo mostrando quanto la sua follia sia in parte causata dal morboso e “insano” rapporto intrattenuto con il crociato mascherato che, per una volta, ha un ruolo alquanto marginale nell’intera storia.
Capitolo dopo capitolo, i lettori potranno seguire l’evoluzione del “principe del crimine” che, stretto tra l’autentica ricerca di pace e oscuri demoni che ancora lo perseguitano, viene rappresentato da DeMatteis come un personaggio ricco di sfaccettature, problematico e, in fine dei conti, veramente “umano”. Il passaggio da Joker a Joseph Kerr, seppur subitaneo, è ben rappresentato e permette inoltre all’autore di mostrare come sia a volte molto sottile la linea di demarcazione tra quello che i più considerano “sano” e ciò che può essere definito “malato” o “deviato”.
Proprio la tendenza al “tutto e subito” è forse l’unica vera (ma piccola) pecca dell’intera vicenda. L’ultimo atto, ad esempio, appare fin troppo concitato, con numerosi colpi di scena che si affastellano l’uno sull’altro e che, al posto di stupire il lettore, sembrano invece avere l’intenzione di metterlo in confusione e in crisi.
A ciò si aggiunge inoltre un altro piccolo problema, ovvero la caratterizzazione di Rebecca Brown, la vicina di casa che è fondamentalmente uno degli elementi che regge tutto l’impianto narrativo. Alcuni lettori – tra cui il sottoscritto – avrebbero preferito maggiore “tridimensionalità” nel personaggio che alla fine (e lo dico con dolore) perde totalmente tutta la sua possibile carica innovativa e, in un certo senso, “rivoluzionaria”.
Toni forti per una vicenda cruda
Un plauso va inoltre fatto a Steve Mitchell e Joe Staton autori di tavole che, se pur “grondanti” estetica anni Novanta, risultano ancora godibili agli occhi degli smaliziati lettori del 2017. Le pagine non appaiono mai difficili da leggere o interpretare e la palette cromatica è sempre gradevole anche nelle situazioni più concitate.
Interessante, anche se in linea con il periodo, è il character design. Nessuno dei personaggi appare sproporzionato o troppo “sopra le righe” anche se devo ammettere che la Joker-mobile (si chiama così: non è uno scherzo…) appare, agli occhi di un lettore moderno, come uno degli oggetti più kitsch e brutti mai partoriti da mente umana.
In conclusione
Pur avendo più di vent’anni sulle spalle, Going Sane risulta ancora oggi essere una lettura gradevole e interessante. Tenendo conto che i temi della malattia mentale e del “ritorno alla normalità” non erano affatto tipici per l’epoca, la vicenda rappresenta un primo (e riuscito) tentativo di scavare nella psicologia di due icone, mostrando che sotto sotto Batman e Joker sono accomunati da molto di più che una semplice rivalità tra supereroe e supercattivo.