Spolverando lo scaffale dei DVD, ho scoperto che alcuni anni fa – forse colto da un momento di shopping compulsivo su Amazon – avevo acquistato il cofanetto delle prime quattro stagioni di Robot Chicken.
Lo show – della durata di una manciata di minuti e che tutt’oggi continua ad andare in onda con successo negli Stati Uniti su Adult Swim – è stato creato nel 2005 da Matthew Senreich e Seth Green, quest’ultimo conosciuto ai più per aver partecipato alla saga cinematografica di Austin Powers e per doppiare il personaggio di Chris Griffin in Family Guy.
Robot Chicken, che usa la tecnica dello stop motion per dare vita alle sue creazioni, mette apparentemente alla berlina la cultura pop e le sue icone, portando in scena situazioni per lo più surreali in cui personaggi della televisione, del cinema, dei videogiochi o dei fumetti interagiscono tra di loro. Il programma, oltre a essere trasmesso in diverse nazioni, gode di vita propria anche su YouTube come playlist del canale dedicato alla versione britannica di Adult Swim.
La fortuna dello show, a mio parere, è dovuta a due fattori diversi ma a loro modo strettamente legati: l’abilità degli autori di inventare a ogni episodio nuove e paradossali situazioni in cui calare i personaggi e l’effetto nostalgia. Tra gli sketch più noti dello show, ho scelto di proporne due:
Se nel primo la teoria delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto viene riproposta in chiave “animalesca”, nel secondo gli autori mischiano un riferimento pop con un fatto di cronaca dell’epoca (lo sketch è datato 2005), l’uragano Katrina.
Provando a dare un’occhiata ai commenti degli utenti di Youtube ai video della playlist, si può notare come una delle parole più ricorrenti sia nostalgia.
Nostalgia portami via?
Esattamente cosa significa la parola nostalgia? La Treccani online parla chiaro:
Nostalgìa s. f. [comp. del gr. νόστος «ritorno» e –algia (v. algia)]. – Desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano.
Credo che la nostalgia, di per sé, non sia uno stato d’animo né positivo, né negativo: la locuzione “ah, ai miei tempi….” si è sempre sentita e, credo, si sentirà fino a quando continueranno a esistere esseri umani su questo pianeta (o su altri: Elon Musk approves). Il vero problema sorge quando si fa della nostalgia un mero business, nato non per far ricordare una certa serie o un personaggio finiti – magari ingiustamente – nell’oblio ma per essere un semplice meccanismo mangia quattrini che, sotto la patina del “noi ci ricordiamo di X… e voi?”, vuole vergognosamente monetizzare sul passato e sull’impossibilità per ciascuno di noi di tornare indietro nel tempo.
Nostalgia is the new business
Questo articolo non ha come scopo quello di colpevolizzare Robot Chicken o programmi similari (Family Guy e prima ancora i Simpson) e neppure di portare alla luce un presunto e oscuro “Impero del Male” che, segretamente, trama per farci ricordare/acquistare oggetti che, rivisti con gli occhi del 2016, sarebbero con molta probabilità giudicati come banali o totalmente privi di senso.
Questo pezzo, al contrario, cercherà di capire cosa sia esattamente la nostalgia e, allo stesso tempo, di offrire un’opinione strettamente personale sui meccanismi e gli indubbi vantaggi derivanti dal capitalizzare, monetizzare e mercificare quel concetto.
Un business plan in tre semplici mosse.
Punto uno: verso l’infinito e oltre…
Tentiamo di andare con ordine:
A. La nostalgia è un business (potenzialmente) infinito.
Sembra un’enorme fesseria ma, a pensarci bene, è come trovarsi all’interno di una vignetta sulla Troll Science: “Signori, energia infinita! U mad?”. L’effetto nostalgia, nel bene o nel male, tocca tutte le generazioni: c’è chi prova nostalgia per gli anni Ottanta, chi per i Novanta e chi perfino per epoche che non ha mai vissuto in prima persona (ma non temete, miei lettori, anche loro potranno essere “munti” a dovere. Business is business). I ragazzini che oggi hanno dieci anni saranno dei trentenni nel 2036 e quindi…
Ma te lo ricordi il 2016, le sue serie televisive, i suoi film? Che grande anno, quell’anno. Forse ti interessa questa spilletta o questa action figure…
Personalmente alcune serie televisive o saghe cinematografiche degli anni Ottanta/Novanta hanno lasciato nella mia mente un ricordo più che vivido. Potenzialmente, potrei riempirmi la casa delle “peggio cose” (action figures, adesivi, magneti, cards, busti…) dedicate, ad esempio, a Saint Seiya, Batman oppure al Punitore ma, alla fine della fiera, la mia vocina interiore mi dice che forse è meglio non farlo (o non eccedere). Come è possibile tutto ciò? Credo che sia qualcosa di puramente soggettivo: rispetto i collezionisti seri e coloro che han fatto di questa passione una vera e propria professione. Io ci ho provato, anni fa, ma… ho smesso, sorry.
Sono fermamente convinto che ci sia un sano e chiaro limite tra comprare un oggetto perché ci è utile/ci piace e lo shopping compulsivo. Se mal gestito, l’effetto nostalgia può portare anche la persona più sana ad attorniarsi del più inutile ciarpame.
Punto due: tons of gold!
E questo ragionamento ci porta a…
B. Gli utenti/clienti coinvolti nell’effetto nostalgia hanno possibilità economiche.
Vendere il passato (o parte di esso) non sarebbe possibile se il target di riferimento vivesse di espedienti o fosse costantemente al verde. E’ lo stesso concetto che guida, da secoli, il mercato antiquario: io posso vendere oggetti che un tempo erano di uso comune se e solo se ho qualcuno disposto a comprarli. La stessa formula si applica alla pop culture e alla nostalgia. Io ho un lavoro, non fumo, bevo ma senza esagerare, non ho spese tremende sul groppone e posso quindi spendere una parte delle mie entrate in oggetti che, agli occhi di qualcuno, potrebbero apparire sciocchi o totalmente insignificanti.
Ma guarda un po’ che bella quella action figure di Batman… Ah, è pure una limited edition… Eh, non mi pare così cara e poi… la mensola in salone è proprio tristanzuola, tutta vuota
Ecco, mi han incastrato. Sono entrato anche io nel tunnel (e io che pensavo, speravo di aver fatto attenzione). Ma perché mi hanno ingabbiato, perché?
Punto tre: fill in the blanks
C. Le generazioni odierne sono tendenzialmente infelici e usano la nostalgia come un “porto sicuro”
Come abbiamo visto, per definizione essere nostalgici vuol dire provare un forte e acuto desiderio di ritornare in un posto dove si è vissuti in passato. Per estensione, possiamo dire che il nostalgico è colui che vorrebbe avere una DeLorean o il TARDIS per poter tornare indietro nel tempo e vivere esattamente quelle sensazioni ed emozioni che ciascuno di noi ha provato quando giocava con quell’action figure, guardava quello show in TV o indossava con fierezza, e un poco di sana e bellissima incoscienza, la maglietta del nostro eroe preferito.
La mia generazione – quella di mezzo, quella del “già e non ancora” – si trova a vivere una costante e a volte soffocante sensazione di precarietà che pervade molti campi dell’esistenza: affetti, lavoro, amicizie, situazione economica. Una delle vie di uscita più semplici è proprio quella di provare a rifugiarsi nel passato, in quel nido caldo che abbiamo dovuto, più o meno a malincuore, abbandonare. Qualcuno potrebbe infatti dire:
Se non è possibile migliorare, qui e ora, la vita che vivo forse è bene lasciarsi andare alla sensazione di avere ancora qualcosa di stabile, di concreto tra le mani
Ed ecco che quella spilla di Iron Man, quella tazza della Pantera Rosa – prodotti in serie in una sperduta fabbrica della Cina o di Taiwan – assumono un nuovo senso, totalmente diverso. Da prodotti di consumo, diventano oggetti che fanno parte del mio vissuto, del mio immaginario, in una parola: di quello che sono stato.
Provando a tirare le somme…
Ma quindi Luca tu ci stai dicendo: no al passato, si al futuro? Via questa nostalgia, brutta e canaglia?
No, cari lettori. Credo fermamente che tra due estremi di uno spettro ci sia una bellissima e a volte vilipesa zona grigia, fatta di mezzi toni, in cui possiamo trovare la nostra nicchia, il nostro spazio.
Se nostalgia deve essere, che sia almeno una nostalgia positiva. Un desiderio a guardare il passato non come un mitico Eden in cui “ah, signora mia… Come si stava bene nel 1998” ma come una parte di noi stessi, un tassello che ci compone e che ci permette di comunicare con altri nostri simili che, con molta probabilità, hanno un bagaglio più o meno simile di “contenuti pop” da condividere.
E il business? E il capitalismo brutto e cattivo?
Fermi un secondo, di nuovo: scala di grigi. Chi può non deve privarsi del piacere di acquistare e godere di prodotti dedicati alla pop culture ma, al contempo, ciascuno di noi deve sempre ricordarsi che i vuoti interiori, purtroppo, non si colmano con oggetti fisici. Per quanto riguarda il passato: è un gran bel posto, c’è un ampio parcheggio multipiano, i prezzi sono veramente onesti ma…