Pur in attività da neppure dieci anni, Jeremy Saulnier è uno sceneggiatore/regista che ha regalato al pubblico alcune prove di qualità. Oggi ci vogliamo soffermare sulla sua prima fatica, Murder Party.
The cause of murder? Art!
Uscito in sordina nel 2007, il film è ambientato a Brooklyn e racconta le vicende di un uomo di mezza età che è pronto per festeggiare la notte di Halloween a base di dolcetti a basso costo, Vhs horror prese a noleggio e la dolce compagnia del suo gatto, Mr. Lancelot.
I piani del protagonista subiscono un brusco cambiamento quando, per caso, l’uomo trova per strada una misteriosa busta nera che lo invita a partecipare a un party privato. Pur titubante, il nostro si traveste con un costume homemade da cavaliere della Tavola rotonda e parte per quella che sarà la notte più lunga della sua vita.
Il party ben presto si rivelerà un mero pretesto organizzato da alcuni studenti di cinematografia falliti che hanno pensato un modo del tutto particolare per fare breccia nel cuore di un facoltoso patron: realizzare un film in verrà sacrificata a favor di telecamera una vittima, l’invitato al party per l’appunto.
Where is my grant?
Per quanto riguarda la regia e gli effetti, Murder Party riesce a dare un paio di piccoli brividi anche agli spettatori veterani del genere horror. Saunier sa perfettamente di non avere a disposizione un budget a dieci zeri e per questo preferisce puntare su pochi effetti ma ben curati.
Nella pellicola non scorrono ettolitri di sangue eppure un senso di ansia e di disagio pervade lo spettatore dall’inizio alla fine. Perfino nella scena finale, molto tradizionale in un certo senso, non pare di percepire un senso di catarsi, una liberazione ma piuttosto altra ansia e tristezza per quello che è appena accaduto al protagonista.
La pellicola è quasi interamente girata con macchina a mano ma questo non crea mai né un senso di “già visto”, né una sensazione sgradevole. Al contrario, l’uso di questo espediente permette al regista di esplorare più da vicino, quasi come uno scienziato con il suo fido microscopio, il microcosmo che compone la pellicola.
There is nothing more political than Art…
Diciamolo con tutta onestà: Murder Party è un film che non può lasciare indifferenti. Pur girata con un budget molto risicato, la pellicola vive grazie all’interpretazione dei suoi protagonisti, in totale sei.
Rinchiusi dentro un magazzino di Brooklyn – con poche uscite nel “mondo esterno” – i nostri personaggi riescono a creare un affresco composito, fatto di solitudine, pazzia ma anche molta ironia.
Le migliori prove sono regalate da Macon Blair – che ritroveremo come protagonista nel secondo film di Saulnier, Blue Ruin) – Stacy Rock ma soprattutto William Lacey. Quest’ultimo interpreta un personaggio, Bill, molto interessante e ricco di sfumature. Pur passando una buona parte della prima parte della pellicola in disparte giocando con una PSP, Bill “esploderà” nella seconda metà del film e finirà per avere un ruolo centrale nel terzo atto e nella conclusione della pellicola.
Fin dalle prime battute, Saunier ci da l’impressione di conoscere bene la scena indie che mette in scena: un paradossale caravanserraglio di artistucoli che sono pronti a tutto, perfino a uccidere, per ricevere un finanziamento e per poter finalmente entrare nel “dorato” mondo del cinema o dell’arte moderna.
Questo messaggio, perfettamente veicolato dai protagonisti attraverso i dialoghi e i loro comportamenti, trova il suo punto di massima esplosione nella parte finale della pellicola. Ambientata in una festa/live performance messa in scena da alcuni studenti d’arte, l’atto finale di Murder Party non risparmia niente e nessuno: dall’uso ricreativo delle droghe, alla stupidità del pubblico moderno – che non riesce più a cogliere la differenza tra un vero omicidio e una performance artistica – arrivando perfino a mettere in ridicolo gli spettatori stessi, partecipi “gonzi” in un gioco al massacro senza alcuna logica di fondo.
In conclusione…
Murder Party è una classica hiddem gem. Grazie a una solida prova attoriale e a pochi effetti ma molto accurati, il film saprà regalare allo spettatore non solo un po’ di sano svago ma anche materiale per riflettere sull’essere artisti oggi e su ciò che il pubblico (ovvero noi stessi) cerchiamo/riceviamo da molti presunti “artisti” che si affacciano sulla scena o che ci vivono/sopravvivono stabilmente da fin troppi anni.
In chiusura
Murder Party è un film bizzarro che vive grazie all’ottima prova dei suoi protagonisti. Commedia horror che non si prende troppo sul serio, la pellicola regala alcuni momenti gore di notevole impatto, alternati a una critica al vetriolo rivolta contro un certo cinema indie e il sottobosco che lo nutre (e, fin troppo, lo idolatra). Caldamente consigliato.