Leggendo questo articolo di Parliamo di VideoGiochi mi è venuto la voglia di rispondere nei commenti il mio pensiero sulla questione “pirateria: è reato? è giusto/sbagliato?”, ma visto che abbiamo un blog in cui poter esprimere le nostre opinioni, e dopo essermi confrontato brevemente con il buon Luca, ho pensato che sarebbe stato meglio fare un post, così da far funzionare anche il sistema “blog” come è stato pensato in origine.
La pirateria è reato?
In primis volevo rispondere a questa domanda, cosa che molto spesso viene travisata tra gli utenti tecnologici. La pirateria di proprietà intellettuale registrata è reato e ringraziamo che lo sia. Se un software (o la tua invenzione) viene registrata in modo che venga intesa così com’è senza possibilità di modifica è giusto che venga tutelata, ci sono degli enti che si occupano di evitare che tutti rubino la tua proprietà industriale e che ci si possa guadagnare a scapito tuo. Quindi sì la pirateria è reato e non c’è molto da discuterne in questi termini. Se lo sviluppatore/inventore/industriale volesse rendere pubblico e condiviso il suo prodotto può pubblicarlo con licenze aperte, atte a riconoscere l’autore originale ma permetterne la distribuzione/modifica/utilizzo senza limiti da parte degli utenti. La domanda che dobbiamo porci è forse un’altra…
La pirateria è giusta?
La risposta moralmente ed eticamente parlando è no, sempre che ci si basi su una morale ed etica coerente con la società di oggi. Parto sempre dal presupposto che tutti noi condividiamo il fatto che calpestare i diritti di un altro uomo (inteso come essere umano) sia sbagliato e che siamo tutti uguali davanti alla legge, misura di regole decise dalla società (quindi tutti noi) e condivise. Il fatto che ci siano delle leggi a proibire l’infrazione di brevetti e materiali protetti ci fa pensare che qualcuno prima di noi abbia pensato bene che fosse importante poter proteggere le proprietà intellettuali e non sia giusto infrangerle. Ma quindi, il dibattito dove nasce? Sembrerebbe che non ci sia niente da discutere: chi cracka il software merita una punizione, chi ha delle proprietà intellettuali infrante un risarcimento, gg ez.
La pirateria: ieri vs oggi.
Sono passati una trentina di anni da quando si è cominciato a piratare proprietà intellettuali in modo diffuso: nei primi tempi erano solo gli informatici a poter distribuire e creare materiale “pirata” ma con l’accesso delle tecnologie alle masse (audiocassette, masterizzatori, internet) il fenomeno si è distribuito. Se nei primi tempi era quasi un plus, negli anni 2000 è diventato un must: comprare un DVD sembrava quasi un fenomeno da “ricchi” mentre registrare programmi/film/serie tv era all’ordine del giorno. L’industria andava a braccetto con questo pensiero fornendoti gli strumenti per evitare le pubblicità, programmare i registratori, leggere i file “pirata”. In quel momento, l’industria ha capito che se non potevi sconfiggere la pirateria, potevi sfruttarla economicamente. Poi internet è diventato un fenomeno di massa e niente è stato più come prima.
Sono nati i servizi di streaming e download: se prima radio e televisioni “pagavano” il copyright sui servizi che poi l’utenza si clonava a casa ora l’utenza accedeva direttamente al contenuto senza che l’industria potesse battere ciglio. Questo è il perché tra i 2000 e 2010 c’è stata una grande lotta alla pirateria, con metodi più o meno barbari, a scapito degli utenti legittimi e senza successo. Gli utenti si trovavano ad installare veri e propri rootkit per poter verificare la legittimità del software e i pirati potevano diffondere a destra e manca ogni materiale digitale crackato. Il problema di fondo è che ti vendevano un servizio di cui non tenevano più il controllo una volta in mano tua.
Poi sono nati i servizi online e il “cloud computing“. Il software non è più in mano dell’utente (quindi non è crackabile) e viene fornito gratis/con abbonamento. L’industria si è svegliata e ha capito che non puoi crackare un servizio che ti offre se non hai possibilità di metterci le mani sopra e che la qualità delle connessioni comincia a essere tale da poter addirittura simulare un sistema operativo online (vedi Windows Cloud).
Intanto l’utenza è cresciuta e la domanda sulla pirateria è attuale ancora oggi. Il mondo del lavoro e dell’istruzione è cambiato molto negli anni e per formarsi la gente ha dovuto studiare software sempre più complesso e inaccessibile economicamente. Il mondo del software si è espanso, pensiamo all’esplosione del mercato videogame: se fate un salto sulla libreria di Steam vedete quanti titoli disponibili ci sono, un determinato software può esistere in venti versioni diverse.
Con un mercato così competitivo sono morte le versioni di prova del software: se nei videogiochi sono praticamente scomparse le demo, per i programmi professionali le versioni di prova della durata di qualche giorno/mese non ne permettono l’apprendimento o l’utilizzo completo da motivare un acquisto sensato. Per questo, nonostante il cloud e il trasferimento verso servizi di abbonamenti, rimane attuale la domanda della pirateria riguardo le questioni: Come faccio a imparare questo software che la compagnia mi richiede di saper usare? Come faccio a capire se mi serve questo software? Come faccio a capire se questo gioco mi diverte? Come faccio a capire se questo film/serie vale la pena di esser visto?
IMHO: la pirateria è reato, aiutiamo l’utenza a non sfruttarla
La pirateria è reato e il mondo dei cracker esisterà finché ci sarà software protetto col diritto d’autore, materiale chiuso da aprire e diffondere per un ideale che è quello di rompere il mercato economico (a discapito degli sviluppatori piccoli e spesso anche degli utenti). Non vedo tuttavia la necessità di punire l’utente che fa della pirateria uno strumento per formarsi, mentre è da punire l’utenza che specula e guadagna dall’infrazione di proprietà intellettuale altrui.
I servizi online di distribuzione di media si stanno già muovendo verso sistemi di diffusione gratuita o periodi di promozione incentivando l’uso di canali legali per la fruizione dei contenuti. Vien da pensare a Netflix e il suo mese gratuito, o Spotify con le pubblicità e pacchetti trimestrali a prezzi accessibili. Nonostante sopravvivano canali alternativi di diffusione (con pubblicità) di materiale piratato, sarebbe bene e meglio per tutti noi abbandonarli, così da non permettere al “pirata” di guadagnarci sopra le nostre visualizzazioni/ascolti, ma fornire un contributo ai creatori/detentori del materiale.
Per quanto riguarda i programmi dovremmo muoverci verso un sistema più aperto (OpenSource) o che permetta il “buon utilizzo” del software e per fortuna ci sono già molte istituzioni che stanno facendo entrambe le cose.
Dal punto di vista dell’istruzione, molte scuole forniscono software a pagamento con licenze “scolastiche” per gli studenti, così che si possano formare le basi per futuri lavoratori su programmi di alto livello. Non è diffusissimo in Italia ma ci si sta muovendo e sarebbe bello che ogni produttore software rendesse disponibile una versione “educational” o “community” del proprio software per gli utenti che vogliono formarsi su quel determinato programma senza dover pagare licenze stratosferiche: il pro è che una volta formato, l’utente inizierà a lavorare con quel software pagando, direttamente o indirettamente se lo acquista l’azienda, la licenza originale.
Nel mondo dei videogiochi, e del software da intrattenimento, il discorso è più complesso. Se da una parte ci vengono date delle possibilità per accedere a prezzi ridicoli (ridicolmente bassi) dall’altra abbiamo un’offerta stratosferica di contenuti originali. Il conflitto principale è legato al fatto che molti piratano il gioco per poi valutare un acquisto successivo giustificandosi con il fatto che non esistono più le demo. O molti lo scaricano illegalmente perché non possono permettersi il gioco, gran scusa per dire che non hanno voglia di spendere quei 60€ per il titolo, che tuttavia gli interessa.
Un buon modo sarebbe inserire dei periodi di prova abbastanza lunghi da permettere un maggior coinvolgimento dell’utente verso il titolo, o puntando a sconti, weekend gratuiti e soprattutto fornendo titoli completi e non abbozzati. Quello in cui ha fallito fin ora l’industria videoludica è far capire all’utenza che gli conviene comprare una licenza vera che utilizzare una versione crackata del gioco, sbagliando nel rapporto con gli utenti, cosa che nel mondo del software professionale invece viene presa con un altro tipo di serietà. Se andiamo a vedere nel mondo dei videogiochi, tra i titoli più popolari troviamo quelli che hanno un gran supporto da parte degli sviluppatori e dell’utenza stessa. I giocatori, consci di trovarsi di fronte a un vero prodotto in progress e non a un semplice specchietto per le allodole, sono quindi spinti a non piratare e, anzi, ad acquistarlo a prezzo pieno. Il mercato è vastissimo ma titoli come questi, in netta crescita, stanno forse fornendo una via di uscita: che sia questo il punto di forza per sconfiggere la pirateria?
Per concludere, la pirateria è reato ed è bene sempre tenerlo a mente. Piratare è ingiusto, perché lede dei diritti, ma possiamo chiudere un occhio se l’intento è l’educazione personale, sebbene sarebbe meglio poter ricevere licenze apposite (è un lavoro da fare da tutte le parti: industria, istituzioni e cittadini).
Siamo abituati al concetto “lo compro quindi è mio” mentre dovremmo capire che nell’era di Internet, nata 30 anni fa, quello che compri è un servizio: “lo compro quindi posso usufruirne”. La pirateria è uno strascico di una mentalità più tradizionalista in cui quando hai qualcosa è tua, ma con internet questo non ha più senso. Dobbiamo capirlo e accettarlo, noi, come anche le industrie.