Nel 1978 usciva negli Stati Uniti una pellicola indipendente diretta da un giovane regista, John Carpenter. Il film in questione, Halloween, riuscì non solo a donare nuova linfa al cinema horror statunitense ma anche a consacrare un sottogenere molto particolare: lo slasher. Nel corso degli anni successivi, i film sugli “psicopatici armati di lame taglienti” si sarebbero moltiplicati come funghi, con risultati non sempre eccellenti. Che piaccia o no, alcuni elementi degli slasher movie continuano a essere solide fondazioni su cui basare ancora oggi la riuscita di un film horror. La lezione di Carpenter sembra stata ben assimilata da Mike Flanagan e dal suo Hush.
Il regista, classe 1978, non è affatto nuovo al genere horror e, nel corso degli anni passati, ha regalato al pubblico due opere come Absentia (2011), ancora molto seminale, e Oculus, vera e propria sorpresa del 2013.
Interno con suspance
La trama di Hush è alquanto semplice e lineare. Una giovane e promettente scrittrice vive in una casa isolata nei boschi. I suoi unici contatti con la civiltà sono la sorella, che vive in città, una vicina di casa e il suo fidanzato. Una notte la donna viene improvvisamente attaccata da un uomo mascherato. Sarà l’inizio di una lenta ma inesorabile caccia in cui nulla è come sembra.
Il particolare più interessante è che la nostra protagonista femminile è sordomuta a causa di una meningite contratta all’età di 13 anni. La sua disabilità fisica, come già nel personaggio principale dell’horror Don’t Breathe, giocherà un ruolo centrale all’interno dell’intera trama dove lo stereotipo della “vittima con disabilità” sarà più volte sovvertito.
Old and new school
La questione del sovvertimento degli stereotipi – una tendenza riscontrabile in molto cinema horror da un po’ di anni a questa parte – non è però il solo punto di forza della vicenda. Il regista, infatti, riesce a mettere in piedi una piccola perla grazie a un uso sapiente di alcuni elementi presi direttamente dagli slasher classici, mescolati con arguzia e un pizzico di coraggio ad altre caratteristiche più di stampo moderno.
La vicenda – che praticamente si sviluppa attorno alla casa della protagonista – segue un filo narrativo molto old school in cui il nostro carnefice cercherà in ogni modo di abbattere la vittima predestinata che però prenderà mano a mano coraggio e cercherà di rispondere colpo su colpo agli attacchi del suo assalitore.
Se questa modalità potrebbe far storcere il naso a quegli appassionati che amano gli horror sincopati tutti sangue e morti spatter, va aggiunto che il film è come un sigaro, ovvero va gustato lentamente e senza aver la pretesa di finirlo in due sole boccate.
Lo stesso regista, fin dall’inizio, adotta infatti un ritmo lento e all’apparenza piatto che però, sotto sotto, nasconde una volontà ben precisa: preparare lo spettatore a ciò che avverrà nel secondo e terzo atto.
L’importante (non) è finire
Proprio il terzo atto è forse l’unico, vero punto dolente dell’intera opera. Il film, della durata di “soli” 81 minuti, avrebbe potuto puntare con maggior decisione verso una chiusura più decisa, più netta. Con l’arrivo del fidanzato della protagonista, interpretato dal pur bravo Michael Trucco, il piccolo “giochino” creato fino a quel momento inizia a perdere colpi e la dinamica “a tre” non riesce a funzionare come, invece, riusciva l’uno contro uno che caratterizza l’intera prima parte dell’opera.
Continuando a parlare di attori, un plauso va alla protagonista Kate Siegel che è anche coautrice della sceneggiatura insieme al regista. La donna, classe 1982, riesce nell’intento di rendere il personaggio di Maddie credibile e profondamente ricco di sfaccettature. Nel corso della vicenda la scrittrice riuscirà nell’intento di utilizzare il suo handicap fisico come un inaspettato vantaggio, rendendo in questo modo la vita del suo assalitore un vero e proprio piccolo inferno.
In conclusione
Hush è un film che lascerà anche gli spettatori più esigenti soddisfatti e contenti. Grazie a una regia curata e a un prova attoriale maiuscola, la pellicola riesce nel suo intento: spaventare non a colpi di “effettacci” ma grazie a brividi sottili che, come lame taglienti, si insinuano sotto pelle e fanno rimanere gli spettatori incollati alle loro poltrone.
In conclusione
Hush convince sotto molti punti di vista e riesce a mescolare molti elementi old school a suggestioni più moderne. Il risultato è un horror godibile che scorre liscio come l’olio. Consigliato agli amanti del genere.