Ma questo passaggio è impossibile… Sai che c’è? Mollo il gioco…

Credo che, almeno una volta nella vita, tutti noi abbiamo pronunciato quella frase di fronte a un videogioco. Che si trattasse di un fps online, un gdr o un titolo strategico, a volte anche il giocatore più incallito deve gettare la spugna e comprendere che, forse, è meglio lasciar decantare quel determinato titolo, per poi eventualmente prenderlo in mano in un secondo tempo.

Ma perché quel passaggio è così ostico? Il gioco è troppo difficile o sono io che non sono bravo? In entrambi i casi quello che colpisce il giocatore ogni qualvolta non riesce a portare a termine quel particolare passaggio ha un nome: frustrazione.

Partiamo dalle basi…

Cosa è esattamente la frustrazione? Come ci ricorda il dizionario, è comunemente definita come

lo stato psichico in cui ci si viene a trovare quando si è bloccati o impediti nel soddisfacimento di un proprio bisogno o desiderio.

Videogiochi, difficoltà e frustrazione: un rapporto fin troppo stretto, a volte. Proviamo insieme a capire quali possono essere le cause di questo fenomeno e i possibili rimedi per farvi fronte.

Quella volta che spaccai il controller: frustrazione e difficoltà sono la stessa cosa?

Come in ogni stato psichico, anche la frustrazione risponde a regole ben precise che, sommariamente, possono essere sintetizzate in tal modo:

1. Desiderio (finire il gioco/superare il livello/sconfiggere il mio avversario)
2. Tentativi volti al raggiungimento dell’obiettivo

3a. Raggiungimento dell’obiettivo prefissato (appagamento del desiderio)

OPPURE

3b. L’obiettivo non è raggiunto (frustrazione)

Se il primo punto non ha bisogno di spiegazioni approfondite, è meglio spendere due parole sui punti successivi. Per “tentativi volti al raggiungimento dell’obiettivo” intendo, più prosaicamente, mettere mano al mouse/controller e testare la difficoltà del prodotto che abbiamo tra le mani.

Questa fase, delicata ma “eccitante” al tempo stesso, è il momento in cui ci mettiamo in gioco e accettiamo la sfida proposta dall’opera. I nostri tentativi potranno andare a buon fine (raggiungendo così il risultato 3a: gg, ez) oppure no e allora ci troveremo di fronte a un crescente senso di frustrazione.

Chiarito ciò, quali sono le cause che non ci permettono di portare a termine l’obiettivo prefissato? Esse possono essere di molteplici tipi: proviamo a elencarne alcune.

“Non sono abbastanza bravo”

Diciamoci la verità: non tutti sono tagliati per giocare a ogni tipo di gioco. Alcuni di noi, come il sottoscritto ad esempio, non posseggono una coordinazione per così dire “perfetta”. Ciò significa che anche il gioco più semplice può trasformarsi in un piccolo inferno fatto di rabbia, e improperi assortiti contro “l’infame difficoltà” del gioco.

Ma è davvero così? E’ il gioco ad essere difficile o, forse forse, sono io che non ho le skills adatte per superare quel livello?

Prendiamo, ad esempio, i rhythm game come Guitar Hero o l’ormai classico PaRappa the Rapper. Data la mia innata incapacità a seguire anche i ritmi più semplici, queste due opere si trasformano nella sagra delle note o moves mancate che, inevitabilmente, porteranno a una lenta ma inesorabile discesa verso un Game Over precoce.

Che fare in questi casi? Spacco il costoso controller a forma di chitarra oppure trovo un modo sostenibile per risolvere la questione? In questo caso il problema non è nel gioco in sé quanto nell’utente che “non è abbastanza bravo” per riuscire a portare a casa il risultato. La strategia, in questo caso, è una sola: evitare quei titoli che non sono nelle nostre corde, cercando al contempo di capire che “non tutte le chiavi aprono la medesima serratura”.

In questo caso, dunque, l’opera non è difficile in sé ma lo diventa a seconda del giocatore che si cimenta con essa. La frustrazione quindi nasce perché non si hanno le caratteristiche richieste dal gioco per essere completato.

Sempre per rimanere sul personale e chiudere così l’aneddoto iniziato poco fa, sono arrivato alla “veneranda” età degli over 30 senza sentire il bisogno di mettermi in imbarazzo con un rhythm game: l’offerta videoludica è così vasta che, veramente, posso scegliere tra tante alternative senza per questo sentirmi “inferiore” agli altri.

Limitazioni intrinseche al gioco aka it’s not me, it’s you

Ah, i giochi old school! Che belli che erano! Così appassionati e quasi mai frustranti!

Momento, momento, momento… C’è veramente ancora qualcuno che crede nell’esistenza di una mitica età dell’oro videoludica in cui tutti i titoli che uscivano erano tripla A e ogni singolo giocatore vivesse perennemente con il sorriso sulle labbra…

Ne abbiamo parlato a suo tempo a proposito di retrogaming: sveglia gente, non tutti i giochi del passato sono appassionanti e, ebbene si, alcuni sono frustranti a dei livelli inimmaginabili.

Contra, un classico… ma assolutamente non per questo esente da passaggi frustranti…

Oh, eresia! Frustrazione nei titoli old school? Certo e aggiungerò di più: molte volte tali titoli erano difficili e di conseguenza frustranti perché concepiti male o, molto più semplicemente, perché buggati. Vorrei prendere un caso un po’ particolare e, forse, per molti sconosciuto.

Sto parlando di Killer 7, uscito nel 2015 per GameCube e PS2. Nei panni di un killer dalla personalità multipla, il giocatore sarà chiamato a svelare una gigantesca cospirazione e, nel contempo, a combattere un misterioso gruppo di terroristi. Partorito dalla mente di Suda51 – mastermind dietro ad alcuni dei giochi con il più alto tasso di materiale wtf/twisted – il gioco ha una curva di apprendimento mal calibrata e, soprattutto, un sistema di controllo che definire poco responsive è riduttivo. La versione che provai all’epoca, quella su GameCube, si rivelò uno strano mix di momenti bellissimi alternati alla sensazione che la frustrazione che provavo a ogni morte non era tanto dovuta al mio essere “scarso” ma a qualcosa di intrinseco alla stressa struttura di gioco.

Killer 7: bello ma “vagamente” buggato…

Si potrebbero fare altri esempi del genere ma, in questo caso, la strategia anti frustrazione da adottare è duplice: capire che il problema è insito nel gioco e sperare, con le dita incrociate, che i problemi possano essere risolti con una patch (se i dev hanno la pazienza di stare a sentire la community, nome fine per definire coloro i quali hanno sborsato del denaro per supportare la tua idea).

In questo caso quindi, la difficoltà del gioco è per così dire dovuta a fattori interni all’opera stessa. Il senso di frustrazione nasce quindi dal fatto di stare partecipando a una “gara truccata”, in cui non c’è possibilità alcuna di vincere.

Ma quindi, Luca, difficoltà e frustrazione sono sinonimi?

No, certo che no. Un titolo può essere difficile senza essere frustrante, e viceversa. E’ vero che molte volte i due termini vanno a braccetto ma occorre fare molta attenzione a usarli in modo intercambiabile.

Ciò che è difficile per me può essere facile per un altro gamer e ciò che è frustrante per me può essere la metaforica piece of cake per gli altri. Parlare per assoluti, in questi casi, non solo è profondamente sbagliato ma è anche del tutto controproducente. Un tale atteggiamento, infatti, tronca sul nascere qualunque tipo di dibattito e non permette la crescita e lo sviluppo di una sana discussione sul tema.

La vecchia e stanca diatriba “ma i giochi vecchi erano più belli perché veramente difficili” mi ha stufato da un pezzo. Solo con un atteggiamento maturo e capace di aprirsi al nuovo e al diverso si potrà superare questa frustrante (questa si) situazione, in cui il muro contro muro non fa altro che rinfocolare sterili polemiche.

Fuori dalla frustrazione: per concludere

Proviamo ora a tirare rapidamente le somme di quanto detto:

1. Difficile e frustrante non sono sinonimi. Questi due termini, come abbiamo visto, sono totalmente diversi e, benché a volte legati tra loro, descrivono due stati ben precisi e difficilmente sovrapponibili del tutto.

2. La difficoltà dei giochi di oggi e di ieri non è diversa: è il giocatore che è cambiato e cambia continuamente. Hardcore mode o press x to win? Ma cosa me ne importa, se il gioco è bello, piacevole e mi regala emozioni! Affermare senza mezze misure che “difficile = bello; facile = brutto” è una di quelle cose che mi mette sempre in difficoltà, nel senso che non penso ci sia una perversa quanto segreta strategia ordita dai dev per far vincere tutti, nessuno escluso. I titoli “facili” e quelli “difficili” sono sempre esistiti, fin dalla notte dei tempi.

Quello che varia, invece, è la bravura dei giocatori che nel corso della loro “carriera” possono migliorare o anche peggiorare in alcuni generi per una serie di motivi su cui non posso ora dilungarmi (mancanza di allenamento/tempo da dedicare al gioco, stanchezza, prontezza di riflessi che cala…).

Quindi, un gioco non è facile o difficile di per sé ma tutto sta, il più delle volte, nelle mani e della testa dell’utente.

3. Il gioco è un passatempo, non un obbligo. Questa dovrebbe (deve?) essere la regola aurea che guida “l’etica” di ogni gamer. Con questa affermazione non si vuole di certo svilire né i pro gamers né l’esperienza videoludica in sé. Molto più semplicemente vuol dire ricordarsi che, nella vita di tutti i giorni, siamo chiamati a subire piccole e grandi frustrazioni: perché caricarsi ulteriormente di stress, anche in quello che dovrebbe essere un passatempo?