Una comunità rurale dell’Irlanda del sud, una ragazza e una profezia da portare a compimento: questi sono gli ingredienti di Brackenmore, thriller-horror uscito nel 2016 e diretto dall’esordiente Chris Kemble. Pellicola indipendente e a basso budget, il film alterna trovate gustose a momenti fin troppo lenti e privi di mordente. L’ennesima occasione sprecata? Proviamo a scoprirlo insieme…

Paganesimo bucolico

Irlanda del Sud: una macchina viaggia a velocità elevata, di notte, su una dissestata strada di campagna. A bordo si trova una famigliola all’apparenza serena ma che, sotto sotto, nasconde un orribile segreto. E’ un attimo: la macchina sbanda e si schianta a bordo strada. L’incidente è fatale per tutti i componenti della famiglia ad eccezione della piccola Kate.

Anni dopo, la giovane vive a Londra insieme a un marito fedifrago e a un lavoro che non la soddisfa pienamente. Un giorno, all’improvviso, la donna riceve una misteriosa lettera in cui si afferma che suo zio, morto da poco, le avrebbe lasciato una piccola tenuta a Brackenmore, suo villaggio natale.

Dopo essere giunta in Irlanda la donna entrerà in contatto con Tom, un giovane del luogo che lentamente le farà riscoprire le proprie radici. Con il passare del tempo, però, quella che all’apparenza sembrava essere una visita per reclamare un’eredità si trasformerà in un torbido viaggio tra oscuri riti pagani e segreti inconfessabili.

Uno script decente al tavolo 5!

Come abbiamo appena visto, la premessa da cui prende le mosse la pellicola è semplice ma allo stesso tempo accattivante. I primo quaranta minuti del film si dipanano in modo sinuoso e mettono sul tappeto tutti gli elementi necessari per creare il giusto hype nello spettatore.

Grazie a una fotografia eccellente, in grado di mostrare gli angoli più cupi e terrificanti dell’Irlanda rurale, e a una prova attoriale maiuscola (un plauso va alla bravissima Sophie Hopkins e al convincente D.J. McGarth, interpreti rispettivamente di Kate e Tom) la prima parte della pellicola tiene incollato lo spettatore allo schermo ma ciò, purtroppo, non è abbastanza.

Ciò che accade nel secondo e terzo atto della pellicola, infatti, mette irrimediabilmente in crisi le buone premesse della pellicola. Il problema principale, nonché quello più evidente, risiede nella sceneggiatura che appare troppo sfilacciata e per nulla in grado di fornire risposte ai tanti (troppi?) misteri che vengono presentati in corso d’opera. 

Sottrarre e accumulare

Nel paragrafo precedente ho sostenuto che la sceneggiatura della pellicola sia, in un certo senso, sfilacciata e priva di mordente. Proviamo a portare alcuni concreti esempi, evitando però accuratamente ogni tipo di spoiler. Fin dai primi minuti, gli sceneggiatori mettono in chiaro una cosa: il film vive di simboli, di immagini. Il culto che viene portato avanti nel paesino di Brackenmore parrebbe essere corredato da una ricca e accattivante simbologia, fatta di teschi, maschere e altri oggetti più o meno macabri.

Tutta questa bella oggettistica e simbologia, però, non viene mai spiegata nel corso della pellicola: gli sceneggiatori si limitano ad affastellare l’uno sull’altro simboli, suggestioni ed enigmi senza però fornire risposte concrete. L’unico momento di spiegazione vera, quasi alla fine della pellicola, si riduce alla descrizione di alcuni elementi che praticamente tutti gli spettatori avranno già colto nel corso dei minuti precedenti.

Un altro evidente problema è quello che potrebbe essere definito come “smania da plot twist“. Nell’ultima mezz’ora della pellicola gli sceneggiatori, con fare a mio avviso fin troppo temerario, inseriscono infatti ben tre colpi di scena che però non sono affatto funzionali alla storia ma che, al contrario, in un certo senso rovinano l’esperienza.

Questo fatto appare molto evidente negli ultimi minuti della pellicola: la storia sta prendendo una conclusione logica e al contempo tragica quando, all’improvviso, tutto cambia… in peggio. Facendo forza su uno degli elementi presenti nell’incipit del film, gli sceneggiatori inseriscono un “colpo di scena nel colpo di scena”, con l’effetto di lasciare lo spettatore con tanto, troppo amaro in bocca.

In conclusione

Brackenmore è l’ennesima pellicola che parte da premesse accattivanti ma che, forse per ingenuità o forse per imperizia degli sceneggiatori/registi, alla fine si scioglie come neve al sole. Senza nascondere i suoi evidenti pregi, ovvero la prova dei due attori protagonisti e il sapiente uso della fotografia per dipingere un’Irlanda “distorta”, il film purtroppo non riesce a lasciare il segno. Parliamoci chiaro: Brackenmore non è un brutto film ma è un prodotto mediocre e a tratti, purtroppo, quasi del tutto impalpabile.

In conclusione
  • Scimmia
  • Storia
  • Effetti
  • Presa
2.4

Riassunto

Senza giri di parole posso dire che Brackenmore mi ha lasciato l’amaro in bocca. Il film parte da premesse gustose ma purtroppo si perde nel proverbiale bicchiere d’acqua, regalando allo spettatore una storia sfilacciata e, in fin dei conti, priva del mordente necessario per lasciare il segno. Come note positive si possono ricordare la fotografia, in grado di catturare il lato più inquietante e “freddo” dell’Irlanda rurale, e la prova dei due protagonisti principali.
Consigliato a chi vuole passare una serata a cervello (quasi) spento: che opportunità sprecata!