La realtà virtuale: quel posto in cui perdersi e dimenticarsi della propria identità terrena. Non stiamo parlando degli MMO dei primi anni 2000, neanche di forti trip al peyote, ma di un’esperienza che inganna i sensi proponendo una realtà confezionata da un team di programmatori. L’immersività nei videogiochi è sempre stata un fattore importante per rendere più o meno coinvolgente il gioco, la situazione definitiva è portare il videogiocatore nel corpo dei personaggi virtuali con cui ha giocato fin ora.
Pronti, partenza, VR!
Innanzitutto definiamo del lessico. Il termine realtà virtuale fa molto anni 80, ma dato che siamo nella seconda decade degli anni 2000 il termine sulla bocca di tutti è VR, letto all’inglese Vi Ar: il problema è l’articolo e noi vi proponiamo un’interpretazione che dia senso al genere. La VR è la realtà virtuale di per sé: lo spazio immaginario realizzato attraverso il calcolatore elettronico e raggiungibile attraverso IL VR, visore per la realtà virtuale.
Al momento sul mercato i principali competitor sono:
- Oculus Rift, by Facebook Inc e anche precursore dei visori moderni si basa su uno schermo schiaffato in faccia e tenuto da una stringa elastica: immaginate una maschera da sub ma con uno schermo davanti.
- Steam VR, o HTC Vive, anch’esso una maschera da sub ma con più stringhe per tenerlo meglio e un sistema di sensori e controller per tracciare i movimenti dell’intera persona: costoso e bisognoso di spazio
- Google Cardboard / Dreamview, usa lo schermo del cellulare e i sensori integrati per fare le cose dei fratelli più grossi: una maschera da sub con davanti il tuo telefono.
- Microsoft Hololens, perché in fondo ci piace fare le cose diverse che non usciranno mai sul mercato e con risultati scadenti fin da subito. In realtà è un sistema olografico di realtà aumentata, non centra molto ma meglio mettere tutti i competitor
- Sony Playstation VR.
Il VR per la VR nel tuo salotto
Sony coglie la palla al balzo e pensa che la VR sia un prodotto per la famiglia, per il tuo salotto da gaming. Sony sa che la gente non vuole perdersi in configurazioni con milioni di cavi, PC costosi, calibrazioni complesse o addirittura dover dedicare ulteriori spazi per giocare. La gente vuole arrivare a casa, accendere la console e giocare comodamente dal proprio divano.
I fili ci sono, ma sono meno ingombranti delle altre soluzioni. Il montaggio è semplicissimo, infilarlo è questione di pochi secondi e se ci si fa la mano, bastano 2 – 3 sessioni, l’esperienza è immediata come accendere la televisione.
Moar hardware..moar next gen?
Sfatiamo un mito: la PS4 non ha la stessa potenza di un PC di fascia alta, quindi non riesce a gestire un visore a 120fps senza compromessi. Inclusi nella confezione troveremo un processore addizionale, a cui va collegata l’uscita video della PS4, un cavo USB sempre con la play e l’alimentazione. Dall’altro lato di questo processore si collegano i cavi del VR. Inoltre è richiesta la Playstation Camera per poter gestire il tracciamento della testa dell’utente con il visore.
Il processore prende i dati video inviati dalla PS4 e li converte nelle immagini che verranno proposte ai nostri occhi, nel visore e a schermo. Nel caso non si riuscissero a ottenere 60fps stabili hanno implementato un algoritmo che interpola le immagini per creare i frame mancanti e mantenere la fluidità. Se da un lato è encomiabile il lavoro fatto da Sony per portarci uno schermo 120hz e FullHD all’interno del visore con 90 – 120 frames al secondo (circa 60 per occhio), dall’altro non ci si può che arrendere alle limitazioni fisiche dell’hardware di queste console di finta next gen. I giochi ne risentono di questo limite e si vede, Sony ne è conscia e un po’ cerca di mitigare: in fiera non era consentito filmare il gameplay dallo schermo esterno senza includere anche il giocatore col visore, come dire, sappiamo che la grafica non è next gen ma almeno mostra che è un titolo VR.
Emozionarsi come la prima volta – Luca
Nella mia breve ma intensa esperienza con il VR Sony, sia a Milano che a New York, ho potuto riscontrare una costante che ritengo essere non di poco conto.
Le demo da me provate (su cui tornerò più tardi) mi hanno infatti lasciato delle sensazioni contrastanti ma una di esse, l’emozione, è stata quella più forte. L’ormai semi stagionato Luca, infilando il visore, ha sentito un brividino lungo la schiena, il brividino dell’essere emozionati come la prima volta di fronte al Commodore 64 o, anni dopo, di fronte a Doom o Wolfenstein 3D per PC.
A mio parere Sony non ha solo snellito i processi di installazione del device, rendendolo così teoricamente alla portata di tutti, ma ha cercato di cogliere la vera essenza della VR, ovvero quella di dare ai giocatori l’impressione di essere totalmente “fusi” con il personaggio che si sta interpretando in game.
A ciò si aggiunge un altro punto, non meno importante. A differenza dell’Oculus Rift e dell’HTC Vive, entrambi da me testati a più riprese, Sony è riuscita a sfatare il noto meme secondo il quale Playstation has no games.
La casa giapponese si è presentata non solo con un device comodo, leggero e funzionale ma anche in grado di fare girare giochi “veri”, di senso e non solo tech demo che, francamente, lasciano il tempo che trovano (ciao, Oculus: si dico a te).
L’Emozione e i suoi tre volti: l’acronimo SIL
Nel corso dei paragrafi precedenti ho accennato al concetto di brividino ed emozione. Ora cercherò di spiegare meglio che cosa intendo con quest’ultimo termine. Con Emozione intendo, in sostanza, la somma di tre diversi fattori che, per comodità, possiamo sintetizzare con l’acronimo SIL: Scimmia, Immersione e Limite.
Proviamo ora ad analizzare tali termini partendo dalle demo che ho provato nel corso degli ultimi mesi.
Scimmia, Batman VR
E’ forse la demo che meglio rappresenta il primo volto dell’Emozione, ovvero la Scimmia. Ho atteso alquanto spasmodicamente l’arrivo di questo gioco e, a Milano, bramavo per poterlo provare. Già dal trailer si capiva che il potenziale c’era e dopo la prova le mie aspettative sono non sono state disattese.
Come descrivere il gioco in tre parole? Facile: tu sei Batman. Cari amici lettori, lo so che questa frase potrà suonarvi di una banalità imbarazzante ma non trovo altri modi per poter parlare in modo sensato di questo gioco.
Il fattore fanboy – e il fatto che abbia atteso così tanto per poterlo provare dal vivo – non hanno inficiato il mio giudizio finale. Prima che la serie Arkham riportasse l’uomo pipistrello ai suoi antichi fasti, mi sono dovuto sorbire una serie di giochi orrendi tra cui questo “capolavoro”:
Tornando a Batman VR, esso rappresenta perfettamente la “Scimmia” perché, a mio parere, rende non solo giustizia al personaggio ma finalmente ti mette nei suoi panni e questa volta… Non è una metafora.
L’Emozione si è manifestata in più punti, non solo all’interno della dimora di Wayne ma anche nella Batcaverna. Il punto più alto si raggiunge, a mio modo di vedere, quando inizia la vestizione e si arriva, alla fine, a indossare l’iconica combo maschera e mantello. Il brivido di prendere fisicamente la maschera e mettersa sul viso non ha prezzo.
Immersione, Farpoint
Come già detto nell’introduzione, uno degli elementi fondamentali dell’esperienza VR è aderire perfettamente al personaggio che si sta interpretando. Se è vero che ho provato questa Immersione anche giocando a Batman, debbo però confessare che il primato in questo campo spetta a un altro gioco.
Sto parlando di Farpoint, un fps sviluppato da Impulse Gear e ambientato in un mondo alieno. La demo, provata per ben quattro volte, mi ha lasciato sempre una sensazione diversa e nuova a ogni run.
Il fattore che però è rimasto sostanzialmente uguale è proprio la totale Immersione nel mondo di gioco. Indossando il visore e imbracciando il tubo-Move-fucile, saremo immediatamente catapultati in un mondo ostile, pieno di inquietanti ragni alieni pronti a farci la festa.
La prima cosa che ho fatto, oltre a stupirmi dell’ottimo dettaglio grafico e della precisione dimostrata dall’arma che imbracciavo, è stata guardare il mio corpo. Si, avete capito bene: ho mosso la testa leggermente verso il basso ed eccomi sul pianeta con le mie gambe e le mie braccia fasciate da una tuta ultra resistente.
Banale? Io non credo proprio. Il semplice fatto che io possa esattamente percepire il mio corpo in game e mimare varie meccaniche (posare le armi o cambiarle riponendole effettivamente sulla mia schiena) mi è parso qualcosa di francamente innovativo.
Più giocavo e più mi rendevo conto che, pur non potendo fisicamente camminare nel mondo di gioco, riuscivo comunque a schivare le minacce aliene cercando copertura oppure abbassandomi per evitare i piccoli e grandi imprevisti che, si sa, possono capitare quando ci si schianta su un pianeta alieno e ostile.
Limite, Until Dawn: Rush of Blood
Infine l’ultimo titolo quello, a mio parere, più controverso. L’Emozione, a volte, non è solo fatta di rose e fiori ma anche dei lati negativi. In questo gioco, spin off di un survival horror uscito nel 2015, ci troviamo comodamente seduti in un piccolo otto volante old school.
Armati inizialmente di due revolver, il nostro compito sarà semplice: eliminare tutte le sordide creature che si paleseranno sul nostro cammino. Il gioco, a mio modo di vedere, regala alcuni interessanti momenti ma purtroppo rappresenta anche una sorta di Limite.
Until Dawn: Rush of Blood mi è apparso posticcio e non del tutto in grado di comprendere le potenzialità della VR. Voi per la grafica a tratti fin troppo pulita, vuoi per i jump scares molte volte telefonati, l’esperienza mi è sembrata onesta ma nulla che veramente possa far gridare al miracolo.
Applicazione del Know How – Deiv
La mia esperienza è avvenuta in due situazioni diverse: da utente e da promoter. La prima volta che ho provato il VR di Sony ero al Playstation Dome a Milano, grazie a un evento gratuito di everyeye.it (consiglio la lettura) sono riuscito a prenotare un pomeriggio di prove assieme alla mia ragazza.
In quel pomeriggio ho provato tutti i titoli a cui ero interessato: gli horror li lascio a Luca, preferisco più l’azione simulativa. Quindi pad/volante alla mano e visore, mi sono sentito come un bambino alle giostre.
La seconda, da promoter: ho lavorato per Sony alla Milano GamesWeek nel padiglione VR, dando e raccogliendo spunti di riflessione sulla tecnologia. L’esperienza è stata distruttiva ma anche molto educativa. A seguire, le miei impresisoni sui titoli che mi hanno colpito maggiormente.
Eve: Valkyrie – Space Combat Simulator
L’amore a primo impatto. La demo provata da me, e l’unica disponibile fino alla Games Week di Milano, è esattamente quella nel video. Sono 3 minuti di viaggio spaziale e combattimento a zero G. L’immersività è totale, nonostante una grafica a bassa risoluzione ma imbottita di effetti particellari. Girarsi e vedere il corpo del pilota, che in quel momento siamo noi, nella stessa posizione in cui siamo seduti tenendo il pad aumenta la sensazione di essere altrove. I comandi sono immediati e la libertà quasi totale, per tutti i fan dei combattimenti spaziali è un’esperienza da provare assolutamente, non ha uguali.
Qui il bambino che c’è in me e sogna un gioco degli sgusci next gen è esploso. L’immersività totale nella zero G mi ha permesso di librarmi in volo come una “bellizzima farfalla” dandomi la libertà di muovermi e osservare lo scenario di battaglia a modo mio. Questa è un’esperienza VR, così vanno impostate le cose. Se esce una roba simile ma a tema Star Wars sarà dura tenersi.
Driveclub VR – Gioco di guida
Su questo titolo mi si sono aperti gli occhi su problematiche e qualità del visore. In particolare ho avuto una multipla esperienza: fruitore, fruitore esperto ed esterno. Il titolo ha avuto vari problemi di sviluppo tant’è che non è chiaro il suo futuro, ma non ci interessa ora, concentriamoci sulle sensazioni che mi ha dato.
Fruitore – Prima Esperienza VR
La prima volta che ho provato il visore ho avuto anche la possibilità di provare il titolo con dei risultati terribili. Alla prima curva e superato il dosso ho sentito delle vertigini e capogiri che non ho mai provato prima, neanche in situazioni estreme. C’è chi potrebbe trovarne divertimento, ma per me è stato come perdere le certezze sul dove sia il sopra e il sotto. Abituato a guidare un mezzo tutt’altro che ben ammortizzato, sono “allenato” a prevedere dove la macchina mi sballonzollerà a seconda della curva o dosso preso in velocità. Il mio cervello in questa esperienza si è convinto che avrei dovuto provare le stesse sensazioni andando a bilanciare gli spostamenti dovuti alle forze centrifughe virtuali causandomi scompensi di equilibrio. Dopo questa esperienza ero deluso e confortato: non posso giocare i giochi di auto con il VR ma è stata una fortuna poter provare in anticipo il gadget, scongiurando eventuali acquisti sconsiderati.
Fruitore esperto – Le ore nel VR
Accadde di avere la possibilità di lavorare presso lo stand VR di Sony alla Milano GamesWeek, dove nonostante le 11 ore di lavoro in piedi, ho avuto la possibilità di giocare più a lungo e in sessioni private al gioco. Se il primo giorno provavo ancora vertigini, a partire dal secondo i sintomi sono scomparsi e ho cominciato a godere dell’esperienza di guida. Complice anche un volante con force feedback e rotazione 900°, l’immersività era totale: la mappa ambientata in un paesino di riviera ligure con di sfondo un tramonto sul mare mozzafiato ha fornito gioia per i miei occhi (e sensi) in queste intense giornate di lavoro. Presa la mano con i controlli e i veicoli ho cominciato a godere dell’esperienza guidando come non ho mai potuto nella realtà macchine che superano i 5 zeri. L’esperienza è totale, il veicolo è completo dal cruscotto ai sedili posteriori, l’unico difetto implementativo (o forse no) è la possibilità di uscire dal posto del guidatore se ci si sporge troppo col VR: ho fatto dei giri di macchina con la testa fuori dal finestrino, da una prospettiva pericolosa (nella realtà) ma molto emozionante.
Esterno – Dall’altro lato dello stand
Come anticipato, ho lavorato come “Genius” Sony mettendo visori VR per tre giorni addosso alla gente che faceva file di 3,4 ore per provare un’esperienza di 4 minuti. Da quel punto di vista ho assistito a reazioni variegate portandomi a delle valutazioni a posteriori:
- Gli adulti soffrono più dei minorenni: su tre giorni di fiera ho avuto una decina di persone che si sono sentite male e hanno dovuto interrompere l’esperienza. L’età era compresa tra i 24 e i 60 anni, mostrando un maggiore disagio nelle persone più adulte (nel campione di persone che sono state male). I motivi erano principalmente gli stessi che mi hanno portato a star male nella mia prima prova.
- La gente non capisce la VR: questa è stata una delusione. Ti do la possibilità di immergerti in un mondo virtuale e tu giochi guardando solo davanti a te, come se stessi guardando uno schermo più vicino. Questo comportamento era principalmente presente nei minori di 15 – 16 anni e mi ha deluso particolarmente. Di contro, quelli che ne sono stati più entusiasti e si divertivano visivamente a giocare (risate, urletti, sorrisoni che neanche Babbo Natale) sono stati quelli che si guardavano in giro, scoprivano di avere una macchina completa, di essere nella realtà virtuale. Qualche ragazzo, dopo aver visto che c’era il freno a mano alla loro destra ha anche provato a tirarlo. Ma la delusione è portata dal fatto che è stata una minoranza rispetto a tutti quelli che ho passato.
- La gente paga per il proprio divertimento: molti di quelli che son passati e hanno avuto un’esperienza positiva sono poi corsi a comprare il VR. O lo hanno promesso ai loro figli per Natale. Questo fa piacere perché sposta i videogiochi da una posizione di nicchia per reietti a un concepire il divertimento tecnologico come una cosa di tutti i giorni, non proprio scontata in Italia.
Deiv – Conclusioni – La volta buona?
Sono anni che provano a lanciare la realtà virtuale, prima con soluzioni high-end e successivamente con soluzioni very low end. Entrambe non hanno funzionato particolarmente per diffondere l’idea di realtà virtuale fallendo miseramente rimanendo o in un mercato troppo di nicchia (visori costosi e per gente che se lo possono permettere) o cercando un mercato tra i giocatori “casual” che purtroppo sono così casual da ignorare completamente la possibilità di giocare in modi diversi o che esistano giochi diversi da CandyCrush.
Sony si affaccia in questa atmosfera di semi disillusione con un buon visore, economico il giusto, con titoli di qualità e immersivi. La gente sta cominciando a capire le possibilità espressive del mezzo e il mercato di PS4 è abbastanza ampio da cogliere sia gli hardcore che i casual gamers. Il prezzo spaventa la gente normale, ma per un consolaro non è uno scoglio troppo grande: 450€ sono il costo di una nuova console ed è in pratica quello che ti da giocare col VR, una nuova esperienza di gioco.
A chi si avvicina a questa tecnologia consigliamo di provare e riprovare: buttarsi su un acquisto a scatola chiusa può essere un errore costosetto, soprattutto se non si è naturalmente portati al tipo di esperienza. Provare più di una volta e diversi titoli aiuta, ogni implementazione è un’esperienza diversa, ogni gioco offre sensazioni diverse. La scala di soggettività che crea un giudizio sull’esperienza si basa sulle sensazioni personali, il tipo di gioco e l’implementazione. Si spera che nel futuro rimangano tutte gradevoli ma ad oggi, il mercato è ancora giovane e poco maturo per quanto riguarda giochi ben implementati in VR.
Luca – Conclusioni – Una nuova era per i gamers?
Faccio mie le considerazioni appena espresse da Deiv e aggiungo alcune conclusioni.
Pur sapendo molto bene che il mercato, sul fronte VR, è ancora in piena maturazione, sono certo che nei prossimi anni tutti i dev si butteranno a pesce su questa “nuova” tecnologia. Sony si appresta a diventare, nel bene e nel male, forse l’unico referente affidabile in grado di portare sulle sue “spalle” il peso di questa rivoluzione.
Attraverso un device piacevole alla vista (ma soprattutto alla prova dei fatti), la casa del Sol Levante sarà chiamata ad attrarre a sé non solo i giocatori di vecchia data ma anche il pubblico che considera ancora il gaming come uno svago leggero o un mero passatempo svuota cervello.
Credo che dal nostro punto di vista, quello dei gamers, occorrerà sviluppare un nuovo modo di pensare e vivere l’esperienza con la VR. Da anni siamo ormai abituati a seguire certi dettami e regole che ci appaiono come incise su lastre di pietra, come qualcosa di immutabile. E’ arrivata l’ora di aprire la nostra mente a nuove modalità ludiche che, pur seguendo in parte i dettami noti, ci porteranno a vedere i giochi con occhi nuovi.
Ci troviamo quindi di fronte a un momento storico, un’occasione da non marcare. Se la VR riuscirà a uscire dalla sua nicchia e attrarre a sé una fetta di pubblico sempre più ampia, i concetti di immersività, longevità e storytelling dovranno essere forse riscritti in modo definitivo. Spetterà a noi gamers fare il grande salto, lasciare la strada vecchia per inoltrarci in un mondo nuovo dove, con nuovi occhi e nuovi corpi, ci immergeremo in avventure mai sognate prima.