Virtual Revolution è un film sci fi del 2016, scritto e diretto dall’esordiente Guy-Roger Duvert. La pellicola è una coproduzione franco-statunitense e, come altre opere indipendenti in tempi recenti, ha saputo sfruttare le potenzialità della Rete al meglio.
Attraverso la piattaforma IndieGoGo, infatti, il regista è riuscito a raccogliere ben 21 mila Dollari, somma che è stata interamente usata per coprire parte delle spese di produzione.

Con simili premesse, come si presenta la pellicola? Proviamo a scoprirlo.

La Rivoluzione che non ci aspettavamo…

Il film è ambientato a Neo Paris, nell’anno di grazia 2047. La grande rivoluzione tecnologica auspicata a inizio Ventunesimo secolo è finalmente avvenuta ma, come ci avverte la narrazione iniziale, non è quella che molti si aspettavano.

La città in cui si svolge la vicenda, infatti, non pullula di macchine volanti o di strani esseri cibernetici ma, come il resto del mondo, è una metropoli fredda, piovosa e illuminata da fioche luci al neon.

In questo paesaggio quasi spettrale, poche sono le persone che si aggirano per le strade. La maggior parte della popolazione, infatti, è comodamente seduta in casa ed è eternamente immersa in mondi virtuali in cui, attraverso il proprio avatar, è possibile vivere avventure fantasy, western o nel mondo antico.

Questi mondi virtuali, sviluppati nel corso degli anni da diverse multinazionali, sono ormai per molti “il mondo reale”: queste persone, infatti, hanno scelto volontariamente di “sconnettersi” dalla nostra esistenza per vivere perennemente immersi in mondi virtuali e fittizi.

Il protagonista della vicenda – il cacciatore di taglie Nate – è un “ibrido”, ovvero un individuo che passa metà della sua giornata nel mondo reale e l’altra metà in Rete. Stretto tra due esistenze e ancora profondamente segnato dalla misteriosa scomparsa della sua compagna, il protagonista sarà ben presto chiamato a confrontarsi con un gruppo di terroristi, i Necromancers.

Il loro scopo è quello di “liberare e purificare” l’umanità, sconnettendo per sempre l’intero sistema dei mondi virtuali, percepito come una piaga che sta distruggendo lentamente l’intera razza umana.

Solido come una roccia?

Da queste premesse, buone ma allo stesso tempo non proprio inedite, si sviluppa una pellicola che fa del citazionismo una delle sue cifre stilistiche. Il regista-sceneggiatore paga più volte omaggio a grandi classici del genere sci fi come Blade Runner, Il Quinto Elemento e 1997: Fuga da New York, riuscendo però allo stesso tempo a raccontare una storia interessante e, cosa non da poco, ben recitata.

Il film non cerca di nascondere la sua natura low budget ma, al contrario, la usa a proprio vantaggio, proponendo pochi effetti speciali (quasi tutti azzeccati) e molti ambienti interni, spogli ma allo stesso tempo ben caratterizzati.

A questo primo pro se ne aggiunge un altro, ovvero la recitazione. Tutto il film è retto dalla solida prova di Mike Dopund attore che, seppur alle prime armi al cinema, ha comunque alle spalle diverse apparizioni in serie televisive come SGU Stargate Universe, Arrow e Continuum.

Attorno a Dupond ruotano una serie di comprimari più o meno in parte, tra i quali spicca per bravura Maximilien Poullein nella parte dell’esperto informatico (e spalla del protagonista) Morel.

Il cast e la sceneggiatura sono solidi, il film è a basso budget ma comunque godibile… Eppure qualcosa non torna e, irrimediabilmente, lascia nello spettatore un persistente retrogusto amaro.

Come sbagliare l’ultimo ingrediente: il finale di Virtual Revolution

Come abbiamo detto, la pellicola è godibile, molto godibile almeno fino agli ultimi quindici minuti, ovvero quelli che in teoria dovrebbero portare allo scioglimento dei diversi nodi narrativi e al finale.

Il film finisce ma… non c’è un vero e proprio finale. Senza fare dannosissimi spoiler, posso dire che Nate si troverà ben presto di fronte a un pesante dilemma morale: abbracciare la causa dei Necromancers oppure cercare di fermarli, anche a costo della propria vita.

Questo bivio ha come possibili risultanti due finali ben chiari e distinti, forse banalotti ma comunque in linea con il resto della pellicola. Quello che però viene compiuto da Duvert ha dell’incredibile: al posto di optare per una delle due soluzioni, il regista ne propone una terza, molto pasticciata e alquanto confusa.

Questa “terza via”, non del tutto logica, pecca inoltre di un altro gravissimo difetto: il finale, infatti, accantona del tutto l’azione e diventa un lungo scambio di battute tra Nate e il suo capo che, come nei peggiori film di serie Z, racconta e spiega allo spettatore nei minimi particolari ogni dettaglio mancante della trama, cercando di chiudere al contempo i piccoli buchi di sceneggiatura che si sono venuti a creare nel corso del racconto (si, succede anche questo…).

Il sufflé che sembrava crescere alla perfezione nel forno implode su se stesso, inaspettatamente. Allo spettatore non rimane che prendere atto della scelta del regista e di abbandonare la sala con un senso di smarrimento che si sarebbe potuto evitare senza alcun problema se solo il regista avesse scelto di muoversi con coerenza.

Ci si sarebbe trovati di fronte a un film senza infamia né lode ma almeno si sarebbe potuto parlare di un’opera con un suo senso e completa in ogni sua parte. In questo caso, invece, ciò che rimane è tanta frustrazione e un sottile senso di “presa per i fondelli”.

In conclusione

Virtual Revolution è una grande, grandissima occasione sprecata. Pur partendo da una premessa intrigante anche se indubbiamente non originalissima, gli ultimi quindici minuti della pellicola rovinano il tanto lavoro fatto dal regista e dagli attori fino a quel momento.

La pellicola, che fino alla fine rivendica con orgoglio il suo essere “di nicchia” e low bugdet si perde proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario il proverbiale colpo di reni per superare il traguardo. Un vero peccato.

In conclusione
  • Fattore Scimmia
  • Storia
  • Effetti
  • Presa
2.4

Riassunto

Virtual Revolution è un film molto difficile da valutare. Se da un lato la pellicola ricalca senza troppi complimenti alcuni cliché del cinema sci-fi degli ultimi decenni (da Blade Runner a Matrix, passando per Il Quinto Elemento), allo stesso tempo appare come un prodotto fatto con il cuore e che non tenta minimamente di nascondere la sua natura “artigianale” e low budget. Gli ultimi quindici minuti della pellicola, nel loro essere fin troppo sbrigativi e semplicistici, fanno purtroppo abbassare il voto, che si attesta di poco sotto la sufficienza.