Nel corso dei giorni scorsi è stata annunciata l’uscita di Ready or Not, un FPS cooperativo tattico sviluppato da Void Interactive, autori in passato di alcune fondamentali mod per Swat 4. Nei panni di una squadra speciale della polizia americana, il giocatore dovrà compiere una serie di missioni sempre più complesse, in cui la coordinazione sarà la chiave per raggiungere la vittoria. Leggendo le specifiche del gioco, si nota che i dev puntano a un quasi completo e totale realismo non solo nelle armi ma anche nel comportamento dell’intelligenza artificiale.

Ready or Not… SWAT 4, riveduto e corretto?

Sempre negli scorsi giorni è uscito al cinema l’atteso Alien: Covenant, nuovo capitolo della sega dedicata ai nostri tanto amati xenomorfi. La pellicola, diretta da Ridley Scott, ha ricevuto diverse recensioni positive anche se non sono mancate le critiche. Queste ultime si soffermano principalmente su due questioni, ovvero la mancanza di originalità nell’opera e una sceneggiatura non all’altezza. Secondo la critica, infatti, nel corso della storia i protagonisti agirebbero il più delle volte in modo del tutto illogico andando così a minare il realismo della pellicola.

Realismo. Ecco la parola magica che, da un po’ di tempo a questa parte, sembra essere sulla bocca di molti, talvolta a sproposito. Vorrei partire da una domanda: quando iniziamo a giocare a un videogame o a vedere una pellicola al cinema, quanto conta il realismo? Proviamo parlarne insieme…

Ma che bello xenomorfo… posso accarezzarlo?

Sogno o son desto?

Senza buttarla sul filosofico spinto, abbandonando la concretezza – uno dei miei più grandi difetti, lo so – è bene subito partire da un principio che ritengo fondamentale. Ogni volta che ci apprestiamo a usufruire di un determinato prodotto (videogioco, serie TV, film) stringiamo più o meno implicitamente un patto con il creatore di quell’opera. Di cosa sto parlando?

Ogni prodotto, sia esso ambientato in un mondo fantasy o nell’Italia del 2017, segue (o dovrebbe seguire) una serie di regole ben precise e una logica chiara. In un film di supereroi, ad esempio, ci aspetteremo di vedere persone comuni che, più o meno casualmente, riescono a ottenere dei poteri al di fuori dei limiti umani. Questa situazione è realistica? Certo che no ma comunque la accettiamo (quasi) senza problemi. Il perché è semplice e ha un nome: sospensione dell’incredulità.

Il tacito patto che sottoscriviamo con l’autore del prodotto prevede infatti che noi spettatori/giocatori/fruitori dobbiamo cercare il più possibile di sospendere per un attimo le nostre facoltà critiche al fine di godere appieno dell’opera, ignorando allo stesso tempo le molte e possibili incongruenze. In altre parole, l’autore ci fornisce il suo set di regole, il suo mondo, la sua logica; starà a noi cercare di calarci all’interno dell’esperienza proposta dal film/gioco, dimenticando per un attimo che alcune situazioni che vedremo/sperimenteremo sono impossibili nel nostro mondo reale.

Un patto implicito è stato siglato (anche in 3D)…

I limiti dell’incredulità

Tutto bello e facile? No, certo che no. La sospensione dell’incredulità, infatti, non implica la soppressione totale della logica e della coerenza. Al contrario, credo che ogni spettatore/utente sia più che altro chiamato ad adattarle in base al tipo di opera. Ed ecco che, prepotentemente, il concetto di realismo ritorna.

A ogni opera che ci viene presentata, quindi, corrisponde un certo tipo di sospensione dell’incredulità. Ad esempio, sarebbe stupido e controproducente dire che Il Signore degli Anelli non è realistico perché, al suo interno, sono presenti degli hobbit o dei maghi. I canoni seguiti da Tolkien (e del genere fantasy, più in generale) ci mostrano che, nella Terra di Mezzo, esistono anche altre razze al di fuori di quella umana.

Al contrario, che effetto farebbe l’apparizione di un elfo nella serie televisiva Gomorra? Chi mai sarebbe in grado di dire: io non guardo Gomorra perché non è realistica: non ci sono draghi o fate? In questo caso ci troviamo di fronte a prodotto che presenta un contesto certamente non fantasy, con canoni e regole diverse. Un elfo (o qualunque altra creatura fantastica o mitologica) stonerebbe con la premessa di base e ciò non solo genererebbe della sana comicità involontaria ma andrebbe irrimediabilmente a spezzare la sospensione dell’incredulità che mettiamo in atto non appena ci accingiamo a vedere un nuovo episodio.

Sul bordo del precipizio, vacilliamo…

In altre parole, a causa di incongruenze o anomalie più o meno grandi a volte la nostra sospensione dell’incredulità è così messa alla prova che, alla fine, cede di schianto. Il prodotto che abbiamo di fronte a noi presenta non ci appare più godibile o realistico ma, al contrario, risulterà essere ricco di crepe e buchi che non potranno essere in alcun modo rattoppati… ed ecco che partono le sonore critiche (giustificate, in questo caso).

Proviamo ancora a fare un esempio, tratto dal mondo videoludico: Assassin’s Creed 2. Al netto della cornice che regge il gioco (il rivivere le memorie dei propri antenati) e della qualità dell’opera, soffermiamoci su un punto: nei panni di Ezio Auditore saremo chiamati a sventare un tentativo di colpo di stato ma allo stesso tempo, nella nostra permanenza a Forlì, dovremmo anche andare a caccia di alcuni mariti fedifraghi. Queste due azioni non vi sembrano lievemente incongruenti?

Ouch, che botta: la sospensione dell’incredulità vacilla… Come è possibile? In questo caso siamo di fronte a uno dei tanti limiti dei giochi open world. Nel marasma generato dal voler offrire un mondo ricco di situazioni e cose da fare, gli sviluppatori molte volte finisco per riempire il gioco di missioni secondarie che cozzano o c’entrano marginalmente con la trama principale dell’opera.

La stessa cosa accade al cinema quando, ad esempio, nei film horror si preferisce usare la “via semplice” per spaventare lo spettatore. Mi sto ovviamente riferendo allo sconsiderato uso da parte di molti sceneggiatori di alcune soluzioni ormai stantie e snervanti: jump scares, personaggi che optano per le scelte più “bovine” e illogiche e così via… Il risultato? Lo spettatore, deciso a mantenere fede alla sospensione dell’incredulità, cercherà di passare sopra a queste incongruenze ma alla fine – chi più, chi meno – si sentirà in parte preso in giro e “tradito” dalla mancanza di logica e realismo della pellicola.

Siamo di fronte a un cane che si morde la coda: molti vanno alla ricerca del realismo ma al contempo, per poter godere del prodotto, devono fingere di essere “increduli” di fronte a ciò che vedono… Un bel pasticcio.

The Descent, un horror che sa come farti provare timore e raccapriccio…

Un sano bilanciamento: in conclusione

E allora? C’è una via di uscita da questo paradosso? Si, credo proprio di si. Tornando alla domanda iniziale, penso che ogni volta che ci approcciamo a un prodotto, esso deve sempre contenere al suo interno una “quantità minima” di realismo. Ovviamente questa quantità varia da persona a persona e non è quantificabile in modo chiaro e preciso. Diciamo che, se proprio volessimo trovare una formula, questa potrebbe essere:

Realismo minimo = quantità di logica e coerenza necessaria per non far cedere la sospensione dell’incredulità

I prodotti ben congegnati, a mio modo di vedere, sono proprio quelli che riescono contemporaneamente a fornirci una piccola dose di realismo alternata a situazioni “illogiche” che però noi possiamo “digerire” mettendo in atto la sospensione dell’incredulità. Come nelle antiche formule alchemiche, se si sbagliano le dosi… è la fine. Il prodotto ci apparirà stantio, privo di mordente o, peggio, totalmente senza senso.

Realismo e incredulità, quindi, vanno a braccetto: esse sono, a mio modo di vedere, i due elementi imprescindibili che caratterizzano tutte (o quasi) le esperienza di fruizione di contenuti ludici, televisivi o cinematografici.