Nel 2014 usciva nelle sale un film intitolato Trollhunter, opera prima del norvegese André Øvredal. A due anni di distanza da quell’esordio, il regista torna con The Autopsy of Jane Doe.

Abbandonate le lande desolate della Norvegia, Øvredal propone una storia molto semplice ma allo stesso tempo accattivante. Nello scantinato di una piccola casa rurale della Virginia, nel quale si è consumato un atroce quanto misterioso duplice omicidio, viene scoperto il cadavere di una giovane donna. La vittima, senza nome, viene ribattezzata come da prassi Jane Doe e affidata alle sapienti mani di due coroner che dovranno capire non solo l’identità della vittima ma anche quale oscuro e terribile segreto si celi dietro la sua morte.

Con il dipanarsi della vicenda, i due protagonisti capiranno a loro spese di essere entrati in contatto con un caso che non ha nulla che fare con il nostro mondo ma con un altro, arcano e dimenticato da lungo tempo.

Interno con cadavere

Non è possibile aggiungere alcun altro dettaglio alla trama, pena rovinarsi la sorpresa e il twist della pellicola, abbastanza standard a dir la verità ma raccontato in modo convincente.

L’opera, primo film in lingua inglese per il regista, è sceneggiata da Ian Goldberg e Richard Naing. I due, riprendendo a piene mani dalla tradizione esoterica europea e americana, compongono un affresco tetro e spettrale che risulta solido anche se, forse, si “rilassa” un po’ troppo nella finale, facendo apparire delle sfilacciature assolutamente non necessarie.

La sceneggiatura comunque risulta funzionale alla storia raccontata che si regge su due pilastri: la bravura dei due protagonisti e il setting in cui si svolge la vicenda, un antico obitorio.

La decisione di ambientare praticamente l’intera pellicola all’interno di un solo ambiente, scelta azzardata e diversa rispetto a quello che solitamente ci si aspetta da un horror, risulta essere uno degli elementi meglio riusciti del film.

Le pareti piastrellate, l’acciaio dei tavoli e dei condotti di areazione conferiscono alla scena un aspetto lugubre ma, incredibilmente, anche vitale e pieno di inaspettati trabocchetti che i nostri due eroi saranno chiamati a evitare.

 

Mezzitoni e pacatezza

Oltre all’ottima sceneggiatura, un plauso va anche alle scelte del regista che preferisce conferire alla sua opera un tono calmo e pacato, in cui ogni minimo dettaglio viene sezionato e analizzato nei minimi dettagli. Le luci e il sonoro conferiscono quel tocco in più all’atmosfera che, già tesa, raggiunge in alcune sequenze dei picchi di notevole intensità.

Non così riusciti, invece, risultano essere gli effetti speciali. Se quelli dedicati al corpo della protagonista appaiono realistici e “cattivi” al punto giusto, quelli di tipo “ambientale” (come il fuoco e il fumo) sembrano usciti da un goffo tentativo amatoriale e purtroppo stonano con il resto dell’opera, che sembra essere stata sottoposta a un controllo molto minuto in ogni dettaglio.

Due uomini e un cadavere

Come abbiamo detto in precedenza, la pellicola si regge non solo sulla sceneggiatura ma anche sulla prova attoriale dei due protagonisti. I coroner, padre e figlio, sono interpretati rispettivamente da Brian Cox ed Emile Hirsch. Gli attori, entrambi profondamente calati nel ruolo, regalano allo spettatore una performance maiuscola e ricca di interessanti sfumature.

Nel corso della lunga nottata, i due saranno impegnati a fare i conti non solo con il corpo di Jane Doe – e sulle mille sorprese macabre che esso nasconde – ma anche un po’ con loro stessi, con il loro passato e il loro rapporto non del tutto idilliaco. Cox e Hirsch riescono a creare un’alchimia perfetta, in cui la spigolosità del padre si fonde magistralmente con l’ingenua sospettosità del figlio che, pur costretto a restare barricato nell’obitorio, intuisce che quel corpo di donna “non la racconta giusta”.

La conclusione, abbastanza standard ma non per questo godibile, è una ventata di aria fresca rispetto all’happy ending forzato che ci offre un certo cinema d’oggi. Se è vero che la pellicola si regge sulla “fredda” logica medica, il finale non regala alcuna sorpresa anche se, purtroppo, lascia spazio a eventuali sequel o prequel, cosa a mio parere poco positiva in quanto la storia poteva essere benissimo essere considerata chiusa.

In conclusione

The Autopsy of Jane Doe è stata, per me, un’autentica sorpresa. Un film consigliato a chi cerca delle atmosfere classiche e una prova attoriale come si deve. Se si riesce a passare sopra ai difetti sopra elencati, si avrà una pellicola da gustare tutta di un fiato in questo gelido inverno.

  • Fattore Scimmia
  • Storia
  • Effetti
  • Presa
4

In chiusura

The Autopsy of Jane Doe stupisce anche se potrebbe far storcere il naso ad alcuni. Una storia ben scritta, attori in parte e buona regia: cosa si può avere di più, al giorno d’oggi?