Nel 1995 usciva nelle sale Seven, un thriller firmato da David Fincher e interpretato da Brad Pitt e Morgan Freeman. La pellicola ottenne fin da subito un ottimo successo e, nel giro di pochi anni, molti altri registi cercarono di copiare la formula che aveva reso grande quel film.

Gli ingredienti “shakerati” da Fincher erano semplici: una coppia di poliziotti, un serial killer freddo e calcolatore, una serie di delitti sempre più efferati e cruenti, un finale amaro e per certi versi inaspettato. Questi elementi erano tenuti insieme da una sceneggiatura di alto livello, impreziosita da una serie di interpretazioni veramente maiuscole da parte del cast.

Tra i vari cloni/”figli illegittimi” di Seven quello più interessante risulta essere Resurrection, pellicola in grado di partire da una premessa nota per poi virare in territori nuovi e (quasi) del tutto inediti. Scopriamo insieme questo film, una piccola gemma dimentica di fine anni Novanta…

He is coming…

Il detective John Prudhomme, di stanza alla polizia di Chicago, si trova ad affrontare il caso più difficile della sua vita: catturare un crudele serial killer che, oltre a mutilare in modo orribile i corpi delle vittime, ama asportare delle sue “prede” alcune parti del corpo ben precise. In un turbine di sangue e violenza, il detective scoprirà ben presto le ragioni che spingono il killer ad uccidere: ricostruire, pezzo dopo pezzo, il corpo di Cristo… giusto in tempo per la Pasqua.

Just in time for Easter

Come abbiamo detto nel paragrafo introduttivo, la storia raccontata da Resurrection non è particolarmente innovativa. Pur avendo a disposizione elementi e situazioni che sanno di “già visto” il merito del regista Russell Mulcahy – già noto per aver diretto il classico Highlander –  è quello di confezionare un prodotto ben curato e solido.

Partendo da una sceneggiatura molto “basica”, il regista riesce a creare un mondo credibile, fatto di poliziotti tutti di un pezzo e criminali sadici e senza alcun tipo di scrupoli. La prima ora è caratterizzata dal classico scontro “buoni contro cattivi”: il protagonista – interpretato da Christopher Lambert – è chiamato a confrontarsi con un killer senza volto, una vera e propria minaccia invisibile che colpisce per poi svanire nel nulla. La tensione e la paranoia che vengono generate nel corso di questo duello a distanza trovano il loro coronamento in una rivelazione che, quasi a conclusione della pellicola, riesce a iniettare nuova linfa alla storia.

Senza fare spoiler “molesti”, posso dire che gli ultimi quaranta minuti del film risultano veramente molto godibili: la verità verrà presto a galla e quello che in prima battuta sembrava una classica dicotomia tra bene e male si rivelerà invece portatrice di ben altri significati, molto più oscuri e tetri del previsto.

Senza via di scampo?

La sceneggiatura, scritta in parte dallo stesso Lambert, è supportata da un cast solido. Lo stesso attore franco-americano, che a volte si lascia andare ad alcuni momenti fin troppo sopra le righe, risulta essere credibile nei panni di un poliziotto rigoroso ma tormentato da un passato segnato da lutti e rimorsi.

Se proprio vogliamo trovare un difetto legato alle varie prove attoriali, possiamo notare che alcuni personaggi sono purtroppo caratterizzati in modo un po’ troppo frettoloso. E’ vero che la pellicola punta il tutto per tutto sullo scontro tra Lambert e il serial killer ma devo dire che mi avrebbe fatto piacere una maggiore caratterizzazione, ad esempio, di tutto il “microcosmo” della stazione di polizia, luogo in cui bazzicano personaggi interessanti ma – purtroppo – privi di un qualsivoglia spessore.

Per quanto riguarda la componente estetica, la pellicola sprizza “anni Novanta” da tutti i pori. Il regista decide di raccontare la vicenda attraverso uno stile ipercinetico, fatto di inquadrature veloci e movimenti di macchina repentini e inaspettati. Anche se a volte si può percepire un marcato retrogusto camp, l’estetica scelta dal regista ben si sposa con la vicenda narrata.

Anche l’ambientazione – ricreata a Vancouver (Canada) per esigenze di budget – appare solida e ben caratterizzata. I vicoli bagnati dalla pioggia, le stazioni ferroviarie affollate e i grandi viali in cui il viavai di macchine la fa da padrone sono il perfetto scenario entro il quale si muovono i nostri protagonisti.

Per quanto riguarda gli effetti speciali, infine, Resurrection è caratterizzato da alcune scene gore che però, paradossalmente, risulteranno gradite anche a coloro che non amano il sangue a fiumi. La componente horror della pellicola è marcata ma non preponderante e ciò dimostra come, a volte, sia possibile generare timore e raccapriccio nello spettatore solo attraverso il “non detto” e il “non visto”.

In conclusione

Resurrection è un prodotto che non fa mistero della sua natura: un thriller a basso budget che però risulta comunque convincente e accattivante. Profondamente anni Novanta, la pellicola compie il suo dovere in modo onesto, intrattenendo lo spettatore dall’inizio alla fine. Il regista, quasi un veterano del genere, confeziona un film in grado di partire da premesse note per spingersi in territori non del tutto esplorati e, in un certo senso, innovativi.

Il film, pur non esente da difetti, è una vera e propria chicca dimenticata, una pellicola da recuperare. Caldamente consigliato.

In conclusione
  • Scimmia
  • Storia
  • Effetti
  • Presa
3.8

Riassunto

Resurrection è una piccola gemma dimenticata. Pur caratterizzata da una trama non proprio innovativa e da alcune interpretazioni un po’ sopra le righe – soprattutto da parte del protagonista – il film riesce a tenere incollati alla sedia dall’inizio alla fine. Consigliato agli amanti dei thriller/horror in cui nulla è come sembra.