Pubblicato nel 2007, S.T.A.L.K.E.R. Shadow of Chernobyl è uno sparatutto in prima persona con elementi survival horror sviluppato dagli ucraini di GSC Game World. Primo capitolo di una trilogia composta da un prequel (Clear Sky) e da un sequel (Call of Pripyat), Shadow of Chernobyl prende ispirazione dal romanzo russo Picnic sul ciglio della strada, pubblicato nel 1972 dai fratelli Strugackij.

A dieci anni dalla sua uscita, proviamo ad analizzare questo titolo, cercando di mettere alla luce non solo i suoi (evidenti) pregi ma anche i suoi (notevoli) difetti. Il primo capitolo della trilogia dedicata alla Zona ha ancora qualcosa da offrire agli smaliziati giocatori del 2017?

Ucraina, anno zero

Le vicende di S.T.A.L.K.E.R. iniziano senza troppi convenevoli: siamo in Ucraina e più precisamente nella Zona, ovvero l’area circostante il reattore nucleare di Chernobyl, sconvolto da un terribile disastro nel lontano 1986.

Un piccolo camion sta percorrendo una strada sterrata in una notte di pioggia. All’improvviso, il disastro: il mezzo ha un grave incidente e si schianta a bordo strada. Il giorno successivo, un gruppo di persone recupera dalle lamiere un corpo ancora in vita. Il sopravvissuto, privo di memoria, viene immediatamente soccorso e trasportato nella casa di un mercante, Sidorovich.

A una prima ispezione l’uomo senza memoria presenta uno strano tatuaggio su un braccio e ha con sé un PDA – un dispositivo elettronico simile a un tablet – nel quale compare un solo messaggio: uccidere Strelok. Da quel momento in avanti il “Marchiato” – così viene soprannominato l’uomo senza memoria – verrà catapultato in un’avventura in cui azione, mistero e terrore la faranno da padrone…

Questa è, per sommi capi, la trama del gioco. Nel corso delle nostre peregrinazioni all’interno della Zona riusciremo via via a raccogliere indizi preziosi per capire non solo l’identità del misterioso Strelok ma anche per comprendere appieno la vera natura del luogo in cui ci troviamo.

A differenza di molti altri giochi di quell’epoca, Shadow of Chernobyl è un prodotto profondamente “testuale” e poco “visivo”. Mi spiego meglio: nel corso dell’avventura i vari dettagli della trama non ci saranno presentati attraverso cutscenes (in tutto, una decina) ma al contrario mediante una lunga serie di dialoghi e documenti scritti. Questi elementi verranno sbloccati non solo risolvendo le varie missioni che compongono la trama principale ma anche (e soprattutto) attraverso il completamento delle varie missioni secondarie.

Pussa via… bestiaccia…

Queste ultime sono, forse, il vero fulcro attorno al quale ruota l’intera vicenda raccontata nel gioco e la loro presenza non solo serve per rendere maggiormente espliciti alcuni dettagli della trama ma anche per conferire alla già vasta lore del gioco un ulteriore livello di profondità. In altre parole, la struttura narrativa di Shadow of Chernobyl è allo stesso tempo “chiusa” e “aperta”: è chiusa perché la vicenda ha un inizio, una parte mediana e una fine ben precisa; è aperta perché all’interno di questa cornice il giocatore è libero di comportarsi un po’ come meglio crede.

Questa libertà (quasi) assoluta è forse il maggior punto di forza dell’intera avventura. E’ vero che saremo noi, in prima persona, a plasmare il corso dell’avventura attraverso le nostre azioni ma, allo stesso tempo, il mondo di gioco continuerà a vivere di vita propria anche senza il nostro intervento.

Tanto per fare un esempio, nel corso della mia run ci sono stati momenti nei quali ho deciso volontariamente di gironzolare un po’ a caso nel mondo di gioco alla ricerca di insediamenti isolati, personaggi non giocanti semi nascosti o oggetti più o meno rari. Muovendomi da un luogo all’altro della mappa ho notato che il mondo intorno a me cambiava in modo lento o repentino, a seconda dei casi. Queste piccole e grandi trasformazioni dell’ambiente circostante non fanno altro che rendere la sensazione di immersione – già molto alta di default – ancora più intensa e appagante.

La stessa struttura del gioco – caratterizzato da una mappa enorme, suddivisa in tante piccole aree collegate tra loro da alcuni punti di caricamento – sprona il giocatore a sperimentare, ad andare per tentativi e a non seguire la via più facile e sicura: completare pedissequamente la trama principale permetterà di finire rapidamente il gioco… ma a quale prezzo?

Solo, in un paesaggio desolato…

I sogni son desideri? La grafica, il sonoro e… i bug

Dopo esserci soffermati su alcuni punti di forza del gioco (di cui torneremo a parlare a breve), fermiamoci ora sulle “dolenti note”, ovvero su quelle piccole e grandi problematiche che ancora oggi affliggono il gioco.

In prima battuta, spendiamo due parole sulla grafica. La versione vanilla di S.T.A.L.K.E.R. presenta una grafica datata e dalla qualità altalenante: se è vero che diversi modelli poligonari risultano ben fatti e caratterizzati (mi sto riferendo, ad esempio, ad alcuni dei personaggi non giocanti), è altrettanto corretto affermare che alcune ambientazioni sono fin troppo scarne, spartane e composte da una striminzita manciata di pixel. Girovagando per la Zona non sarà affatto raro imbattersi in ambienti che appaiono essere appena abbozzati, grezzi, non finiti e in fin dei conti “poco realistici”.

A ciò si lega un altro problema non di poco conto, ovvero un motore grafico pesante come un mattone che, anche sulle macchine moderne di fascia alta, darà non pochi problemi causando a volte inspiegabili cali del framerate nei momenti – ed è questa la parte paradossale – meno concitati dell’avventura.

Socialismo reale (e squadrato)?

Un altro problema non di poco conto riguarda l’AI dei nostri alleati e dei nostri nemici che, pur seguendo nella maggior parte dei casi un comportamento altamente realistico, si lascia andare a volte a scivoloni degni delle migliori comiche. Personaggi incastrati nelle porte, mostri che si suicideranno perché non in grado di valutare correttamente la nostra posizione e altre amenità del genere saranno all’ordine del giorno nel corso della partita.

A ciò si collega inoltre un fastidioso problema legato al livello di difficoltà: all’inizio dell’avventura sarà possibile scegliere tra una serie di opzioni possibili che però non paiono seguire una vera e propria logica interna. Ad esempio, al livello di difficoltà più basso ci si aspetterebbe di incontrare nemici più deboli e facili da abbattere ma purtroppo… avviene esattamente il contrario! In modalità easy, infatti, i nemici saranno fin troppo resistenti alle nostre pallottole e per essere abbattuti occorrerà utilizzare un’abnorme quantità di piombo (alcuni soldati senza alcun tipo di protezione dovranno essere headshottati per ben 3/4 volte prima di morire!).

Tenendo conto che nel mondo di Shadow of Chernobyl le pallottole sono piuttosto rare e le armi si inceppano molto frequentemente dopo pochi utilizzi, questo problema legato al livello di difficoltà non farà altro che aumentare il senso di frustrazione di molti giocatori.

Le diverse patch che sono state rilasciate dal 2007 a oggi hanno risolto alcuni dei problemi sopra elencati anche se non del tutto. Molti bug sono ancora ben visibili e questo non fa altro che intaccare (forse irrimediabilmente, per alcuni) l’esperienza di gioco.

Un discorso del tutto diverso va applicato per il sonoro. A parte il tema musicale che ci accompagna nel menù di gioco, il mondo di Shadow of Chernobyl è quasi sempre caratterizzato o dal silenzio o da flebili rumori di fondo, per la maggior parte distorti. Questa scelta non è affatto casuale e, al contrario, serve per rendere ancora più evidente un dato di fatto: il mondo postapocalittico narrato nel gioco è sporco, paranoico e (quasi) privo di speranza. Aggirarsi per gli oscuri corridoi della vecchia centrale nucleare abbandonata sentendo solo il ripetitivo rumore dei nostri passi (o sinistri scricchiolii impossibili da localizzare) non fa altro che aumentare la sensazione di terrore che ci accompagnerà per la quasi totalità dell’avventura.

S.T.A.L.K.E.R., in questo senso, è un gioco veramente vecchia scuola che preferisce far aumentare la paura dei giocatori gradualmente, senza dover ricorrere ai proverbiali “mostri dietro l’angolo” o ad artificiose soluzioni grafiche.

Welcome to the Zone!

Nel cuore della Zona. Il Gameplay

Come detto nel paragrafo introduttivo, Shadow of Chernobyl è uno sparatutto in prima persona che presenta una marcata componente survival horror e una piccola spruzzata di gioco di ruolo. Fin dall’inizio, il nostro protagonista dovrà tenere a mente due importanti indicatori: la barra della vita (in rosso) e quella della stamina (in bianco). Se la prima non necessita di alcun tipo di spiegazione, è bene spendere due parole sulla seconda. Ogni azione compiuta dal Marchiato corrisponde a un uso più o meno intenso di stamina. Correre a perdifiato lungo una collina al fine di seminare i nemici è, a volte, la migliore soluzione possibile ma come nella vita vera… non si può correre all’infinito!

Il nostro protagonista, pur ben addestrato, dovrà fare molta attenzione a usare sapientemente la propria stamina che, a volte, si consumerà fin troppo velocemente. Il consumo di stamina è inoltre legato al quantitativo di oggetti e materiali che il nostro protagonista trasporterà con sé.

L’inventario di gioco: razionale e spartano.

Nel mondo di Shadow of Chernobyl esistono, grossomodo, tre tipologie di oggetti. In prima battuta, le armi e le munizioni. A inizio avventura il Marchiato avrà a propria disposizione una pistola senza arte né parte e un fucile a canne mozze utile solo a corto-medio raggio. Nel corso dell’avventura, però, il nostro protagonista riuscirà a mettere le mani su di un arsenale di tutto rispetto che spazia da pistole silenziate a fucili mitragliatori più o meno precisi.

Ogni arma avrà un proprio peso all’interno dello zaino e sarà soggetta, come abbiamo visto in precedenza, ad usura. Ciò significa che, nel corso della partita, saremo chiamati a cambiare periodicamente il nostro arsenale, cercando di adattare il nostro stile di gioco alla situazione in cui ci troveremo.

Si è già fatto accenno, nei paragrafi precedenti, all’AI dei nemici ma prima di giungere alle conclusioni è meglio spendere due parole “al volo” sulla componente FPS di Shadow of Chernobyl che, pur un po’ datata, continua a fare il suo sporco lavoro. Le armi sono diverse le une dalle altre e presentano un feel del tutto particolare e realistico (in termine di rinculo, ad esempio).
Anche la componente strategica di Shadow of Chernobyl è votata al completo (o quasi) realismo.

In alcuni frangenti, infatti, non sarà necessario avere l’arma più potente per uscire vivi e vegeti da uno scontro. Caricare a testa bassa i nemici, sperando di falcidiarli nel più breve tempo possibile con il nostro “grosso fucile” è forse la tattica meno indicata in un gioco del genere. Le munizioni, come già detto in precedenza, sono scarse e il miglior modo di risolvere lo scontro sarà quello di pianificare con attenzione le nostre azioni.

Il secondo tipo di oggetti che ci troveremo a trasportare sono le bende, i medikit e il cibo. Il nostro Marchiato ha un’ottima costituzione ma, come ogni essere umano, può essere facilmente ucciso nel corso di un concitato scontro a fuoco. Ogni volta che verremo colpiti, saremo soggetti a un sanguinamento più o meno copioso che potrà essere fermato solo applicando una benda oppure usando uno dei medikit sparsi per il mondo di gioco.

Come già nel caso delle munizioni, anche questi oggetti sono piuttosto rari: è quindi buona norma cercare di evitare gli scontri a fuoco in inferiorità numerica, svicolando e sfuggendo al nemico ove possibile. A volte, poi, il nostro protagonista inizierà a patire i morsi della fame: solo attraverso una costante somministrazione di cibo (scatolette, pane e salame) il nostro Marchiato potrà rimanere in salute a lungo senza incorrere a fastidiosi poteri (leggi: decrescita della barra della vita e morte).

Infine l’ultima tipologia di oggetti presente nel nostro inventario sono le medicine, le armature e gli artefatti. La Zona in cui ci troveremo a vivere e a operare è un territorio pieno di insidie più o meno palesi. Per affrontare al meglio ogni ostacolo, il protagonista dovrà procurarsi una serie di armature sempre più potenti e raffinate che serviranno non solo per assorbire i colpi di arma da fuoco ma anche per dare un sollievo – a dire il vero, temporaneo – dalle radiazioni.

Quelle fiamme sono “anomalie” che bisogna evitare a ogni costo…

L’area di gioco in cui ci troveremo è infatti ricca di zone altamente radioattive, non adatte alla vita degli esseri viventi. Il nostro protagonista, fin dalle prime battute, sarà dotato di un contatore Giger in grado di segnalare attraverso un suono (alquanto fastidioso) queste aree malsane. A volte, però, queste aree così pericolose nascondono al loro interno tesori di inestimabile valore, sotto forma di artefatti.

Questi ultimi, simili a comuni rocce, sono oggetti dotati di una lunga serie di bonus e malus in grado di rendere, ad esempio, il protagonista più resistente alla fatica, ai danni da arma da fuoco e così via. Gli artefatti possono essere comodamente equipaggiati dal nostro Marchiato che, però, dovrà pagare un prezzo ben preciso, ovvero essere sottoposto a un’alta (e malsana) dose di radiazioni che, lentamente ma inesorabilmente, potrebbero finire per consumare tutta la sua energia vitale.
L’unico modo per evitare questo destino è quello di assumere speciali medicine antiradiazioni o, rimedio ancora più casalingo, una “sana” dose di vodka.

Queste tre tipologie di oggetti, dotata ciascuna di un proprio peso specifico, troverà posto in un comodo inventario (richiamabile attraverso la pressione del tasto I) che, nella sua spartana semplicità, diventerà ben presto il nostro più fido compagno di avventure. All’inventario si affianca il PDA (richiamabile con il tasto P), un comodo tablet con il quale si potrà consultare la mappa dell’area di gioco e analizzare, per filo e per segno, le varie quest e i documenti che andremo a raccogliere nel corso dell’avventura.
A differenza dell’inventario, l’uso del PDA non risulterà in prima battuta un poco macchinoso ma, dopo averci fatto la mano, sarà un piacere switchare al volo tra mondo di gioco, PDA e inventario…

In conclusione

S.T.A.L.K.E.R. Shadow of Chernobyl è uno di quei classici prodotti che possono essere o amati incondizionatamente o odiati alla follia. Graficamente datato e ancora oggi piagato da alcuni piccoli bug, il prodotto è comunque in grado di catturare anche i giocatori più smaliziati grazie a una storia semplice ma al contempo profonda e a una narrazione che fa della non linearità e del “non detto” uno dei suoi punti di forza.

Dotato di un gameplay senza troppi fronzoli, il gioco mescola al suo interno molti generi diversi (rpg, fps, survival horror): questa commistione è il più delle volte ben bilanciata anche se, alcune volte, le meccaniche più intriganti e interessanti appaiono non implementate a dovere.

Per quanto riguarda il mondo di gioco, infine, saremo calati in una sorta di “grande scatola di sabbia” dove tutto può succedere e dove ogni giocatore, come nei classici “libri game”, è chiamato a costruire il proprio cammino compiendo determinate scelte e plasmando il proprio destino missione dopo missione.

A dieci anni dalla sua uscita, Shadow of Chernobyl è un’opera lontana dall’essere un capolavoro ma che continua a mantenere un fascino sottile e persistente. Consigliato a tutti quelli che cercano un’esperienza di gioco in cui l’atmosfera e la sapiente creazione di un mondo vivo e realistico fanno da padrone.

In conclusione
  • 85%
    Scimmia - 85%
  • 65%
    Grafica - 65%
  • 85%
    Gameplay - 85%
78%

Riassunto

S.T.A.L.K.E.R. Shadow of Chernobyl è un gioco che, a distanza di anni, riesce ancora a dire la sua.
Al netto dei tanti (per alcuni, troppi) difetti, l’avventura saprà regalare un’esperienza coinvolgente grazie a una storia che, seppur non proprio innovativa, risulterà comunque essere veramente ben strutturata e narrata.
In definitiva, S.T.A.L.K.E.R. è un prodotto genuino, senza troppi fronzoli e destinato a quei giocatori che sono alla ricerca di un’avventura complessa, sfaccettata e mai banale.