Pubblicato nel 2010, Alan Wake è un action-adventure sviluppato dalla casa finlandese Remedy, già autrice dei primi due capitoli della saga di Max Payne. Uscito sia per PC che per console, il gioco è stato ben ricevuto sia dal pubblico che dalla critica. Due anni dopo, nel 2012, Remedy ha sviluppato Alan Wake’s American Nightmare, una sorta di spin off del primo titolo, molto più votato all’action rispetto al capostipite.

A quasi dieci anni dalla sua uscita proviamo a prendere in mano il primo capitolo, cercando di capire se Alan Wake regge la prova del tempo oppure se è – come molti altri titoli di quel periodo – “invecchiato male”.

L’Oscurità sta arrivando… Storia e struttura narrativa

Alan Wake ci mette nei panni di uno scrittore statunitense che, dopo aver conosciuto successi e fama grazie ai suoi romanzi, si trova improvvisamente incapace di scrivere. Pressato dal suo agente Barry e dalla moglie Alice, Alan decide di abbandonare il caos di New York per cercare un po’ di pace (e, possibilmente, ispirazione) in una piccola cittadina di montagna chiamata Bright Falls.

Dopo aver preso possesso di una vecchia baita su di un’isola disabitata, Alan e la moglie saranno risucchiati in un vortice di follia, paranoia e terrore. Ben presto, infatti, una misteriosa entità sovrannaturale inizierà ad accanirsi contro la coppia e, in particolare, contro lo scrittore.

Risvegliatosi a sette giorni di distanza dal suo arrivo, Alan si ritroverà nella sua macchina, senza memoria ma con un’unica missione da portare a termine: ritrovare a ogni costo la moglie Alice, presumibilmente rapita, e capire chi (o che cosa) si nasconda dietro l’inquietante entità che aleggia su Bright Falls…

La vicenda raccontata in Alan Wake – che abbiamo cercato di riassumere qui sopra per sommi capi, evitando qualunque tipo di spoiler – è paragonabile a un rompicapo composto da diecimila pezzi.
Se è vero che la struttura del gioco è suddivisa in otto capitoli – sei dedicati alla vicenda principale e due “bonus” ambientati poco dopo la main quest – i giocatori capiranno fin da subito che per comprendere (e risolvere al 100%) la vicenda occorrerà armarsi di pazienza e di molta buona volontà.

Con questo non voglio dire che la trama del gioco sia di difficile comprensione ma che, per poterla afferrare appieno, bisognerà prestare attenzione a ogni minimo dettaglio sparso all’interno dei livelli. I Remedy, infatti, seguono anche in questo gioco uno schema già adottato in Max Payne. Attraverso una serie di espedienti narrativi diversi (trasmissioni radiofoniche, piccoli programmi televisivi, sequenze oniriche ma soprattutto alcune pagine di un romanzo che lo stesso Alan avrebbe scritto… ma di cui non ha alcuna memoria!), il giocatore verrà calato in un mondo di gioco credibile e ottimamente strutturato, ricco di citazioni a molte opere cinematografiche, videoludiche e letterarie del passato più o meno recente.

In prima battuta, i rimandi più frequenti (e più semplici da cogliere) sono dedicati a Stephen King e alle sue opere letterarie. Queste “strizzate d’occhio”, mai fuori luogo o pesanti, non fanno altro che aumentare di molto lo spessore della vicenda che appare, sotto tutti i punti di vista, molto solida e ben strutturata.

I personaggi, ottimamente caratterizzati, agiscono in un universo contraddittorio, frammentato e soprattutto nel quale non sempre le cose appaiono per quello che realmente sono. Questa complessità di fondo ben si sposa con il ritmo dell’avventura che sa mescolare sapientemente momenti volutamente lenti a fasi più concitate, nelle quali comunque dovremo cercare di non perdere la calma…

Luce, più luce! La grafica e sonoro

Per quanto riguarda la grafica e il sonoro, possiamo dire senza mezzi termini che, nonostante l’età, Alan Wake continua a fare il suo sporco lavoro. Anche se un po’ datati, i modelli poligonari dei protagonisti sono ben studiati, espressivi e ricchi di particolari.

Lo stesso discorso può essere fatto per i vari ambienti in cui ci troveremo a operare, ricchi di piccoli e grandi dettagli che non faranno altro che rendere ancora più piacevole l’esperienza di gioco.
Un plauso particolare va fatto al sapiente uso della luce e dell’ombra nel corso dei vari livelli, uno degli elementi fondamentali di cui parleremo nel capitolo dedicato al gameplay.

Infine, per quanto riguarda la fisica in game, questa appare basica ma comunque funzionale alla nostra esperienza. Quasi tutti gli elementi dello scenario potranno essere (più o meno volutamente) spostati o manovrati dal giocatore. Pur non garantendo alcun tipo di vantaggio tattico, la presenza di questo elemento non fa che aggiungere un ulteriore livello di realismo all’intera avventura.

Per quanto riguarda il comparto audio, Alan Wake regala al giocatore un’esperienza immersiva e appagante. La colonna sonora comprende pezzi creati ad hoc e alcuni grandi classici del passato, utilizzati soprattutto a conclusione di ogni capitolo. Qui occorre fare un appunto: se è vero che alcune delle canzoni scelte possono apparire a prima vista fin troppo note (mi riferisco, ad esempio, a Space Oddity di David Bowie), nel corso dell’avventura saranno utilizzate in modo inusuale e, in un certo senso, inaspettato.

Una luce squarcia l’oscurità… Il gameplay

Alan Wake è, all’apparenza, un classico action-adventure in cui si alternano fasi di esplorazione a momenti in cui dovremmo eliminare a suon di proiettili i nostri nemici. Se è vero che questa struttura viene, nel bene e nel male, rispettata è altrettanto corretto affermare che il gioco cerca comunque di mettere sul piatto alcuni elementi innovativi.

Quello sicuramente più gustoso riguarda la gestione (e l’uso) della luce e dell’ombra. Nel corso dell’avventura, il nostro protagonista sarà chiamato a esplorare moltissime zone oscure e avvolte dalle tenebre. Per facilitare il suo compito, Alan porterà sempre con sé una fida torcia a batterie (di una notissima marca: il product placement, signori e signore!) che avrà essenzialmente due possibili usi: illuminare le zone buie e indebolire i nostri nemici.

In Alan Wake, infatti, i nostri avversari non saranno esseri umani in carne ed ossa ma creature composte d’ombra che potranno essere sconfitte attraverso il sapiente uso combinato della torcia e di un’arma da fuoco. Premendo pulsante destro del mouse potremmo concentrare il raggio di luce della torcia, aumentandone al contempo la potenza. Questo “raggio potenziato” sarà in grado di stordire i nostri nemici che poi dovranno essere finiti a colpi di proiettili.

Questo meccanismo appena descritto ha però un particolare “effetto collaterale”, del tutto realistico: ogni volta che si usa il “raggio potenziato”, il livello delle batterie della torcia inizierà a scendere vertiginosamente, fino a consumarsi del tutto. L’unico modo per riuscire a evitare il problema è quello di trovare altre batterie che, come i proiettili, saranno sparse lungo i livelli di gioco.

Oltre all’utilizzo della torcia, Alan potrà contare su altre fonti di luce come razzi di segnalazione, lampadari, generatori o fari alogeni che, se attivati con il giusto timing, potranno eliminare anche i nemici più ostici. Infine, le zone di luce sono anche gli unici “spazi sicuri” nel quale il protagonista potrà rigenerare la sua salute. Nel gioco, infatti, non c’è la benché minima traccia di medikit e ciò significa che ogni fonte di illuminazione diventerà ben presto un elemento da memorizzare e tenere in considerazione in caso di bassa salute.

Tutti gli elementi appena descritti sono ben implementati e rappresentano una sana “boccata di aria fresca”. L’appunto che però mi sento di muovere riguarda i combattimenti che sono poco intuitivi e alquanto macchinosi.

Alan non è un soldato esperto, né un tiratore scelto e questo significa che, almeno nelle prime fasi di gioco, dovremmo cercare di imparare con cura il sistema da seguire per abbattere i nostri nemici.
Illumina, spara, ricarica, cambia le batterie: ecco il mantra che dovremmo imparare a memoria se vorremo sopravvivere a lungo. Lanciarsi contro i nostri avversari senza aver pianificato per tempo una strategia risulterà infatti del tutto controproducente: l’intelligenza artificiale degli antagonisti non lascia molto scampo e bisognerà fare un po’ di pratica prima di togliersi alcune soddisfazioni non da poco.

Sarà stata colpa della combinazione tra mouse e tastiera (in questo caso, devo dire, poco funzionale), sarà che a volte ho un po’ i riflessi arrugginiti ma ho trovato la prima ora di gioco leggermente frustrante… Con un po’ di allenamento sono riuscito a “prendere la mano” e, alla fine, il divertimento non è mancato anche se è rimasto un po’ di amaro in bocca. Detto in altre parole: il sistema di combattimento è tutto fuorché perfetto. Una maggior attenzione e cura per questo aspetto avrebbe sicuramente reso l’esperienza ancora più appagante.

Un ultimo consiglio che mi sento di dare, dopo aver messo in evidenza questo difetto, è che in alcune situazioni lo scontro a fuoco risulterà essere del tutto in utile. In alcuni frangenti, infatti, sarà molto più facile (e consigliato) darsela a gambe e cercare di andare a zig zag al fine di confondere i nemici. Nei livelli più avanzati, infatti, molti di essi risulteranno piuttosto ostici da abbattere. Onde evitare sonore bestemmie (true story), è meglio provare ad affiancare al “pew pew ignorante” anche un po’ di materia grigia. Il gioco non ci chiede, infatti, di abbattere tutti i nemici che ci si parano di fronte e, al contrario, il vero scopo è quello di arrivare vivi e sani di mente al successivo checkpoint…

Per quanto riguarda invece le fasi di esplorazione, c’è poco da dire: esse sono ben fatte e quasi mai ripetitive. Ogni livello, come già detto in precedenza, è molto ampio e particolareggiato. Anche se, in fin dei conti, la strada da percorrere è sempre una sola, il level design è comunque accattivante e fa il suo sporco lavoro, offrendo varietà e panorami che a volte lasciano senza fiato.

In conclusione

A quasi un decennio dalla sua comparsa sugli scaffali, Alan Wake continua a essere un signor gioco, ricco di piccole e grandi chicche in grado di deliziare anche i palati più esigenti e sofisticati. Pur presentando alcuni difetti non di poco conto – come ad esempio un combat system alquanto legnoso – il titolo sa regalare emozioni e, se affrontato con lo spirito giusto (e con la luce spenta), si rivelerà essere un prodotto di alta qualità. Alan Wake non è un capolavoro ma, nel suo genere, risulta comunque essere un must try.

In conclusione
  • 95%
    Scimmia - 95%
  • 75%
    Grafica - 75%
  • 85%
    Gameplay - 85%
85%

Riassunto

Al netto di alcuni piccoli difetti – come quelli legati al sistema di combattimento, non sempre così intuitivo – Alan Wake è un piccolo gioiello. Grazie a una storia vibrante e ricca di sfumature e chicche di altissimo livello, il gioco saprà regalare emozioni non solo ai neofiti ma anche ai gamers più smaliziati.
Pur graficamente non eccelso, Alan Wake fa dell’atmosfera uno dei suoi punti di forza. Sempre in bilico tra paranoia e “disagio”, il prodotto ci accompagnerà per oltre dieci ore, da gustare goccia a goccia.
Caldamente consigliato a chi cerca un gioco in cui horror e thriller si mescolano alla perfezione.