Nel 1966 i Rolling Stones pubblicavano un singolo intitolato Paint It Black. La canzone, che parla di un uomo che continua a soffrire per aver visto la sua ragazza morire improvvisamente, ebbe fin da subito un notevole successo e venne impiegata anni dopo dal regista Stanley Kubrick come motivo di chiusura del suo Full Metal Jacket.

Senza scendere troppo nei dettagli, la pellicola è in parte ambientata in Vietnam nel corso del conflitto che vide impegnate diverse forze, tra le quali l’esercito statunitense. Nel corso di quella guerra era di stanza in una base chiamata Firebase Valley Forge un soldato chiamato Frank Castle, che in seguito sarebbe divenuto celebre come Punisher.

No colors anymore, I want them to turn black

Pubblicata dalla Marvel nel 2003, Punisher: Born è una miniserie della durata di quattro numeri. Distribuita sotto l’etichetta Max Comics, Born è scritta da Garth Ennis e disegnata rispettivamente da Darick Robinson (matite) e Tom Palmer (chine).

La vicenda si svolge nell’arco di quattro giorni a Valley Forge. Situata a pochi chilometri dal confine cambogiano, la base è ormai un relitto del passato. Gli statunitensi, avendo infatti rinunciato a compiere ulteriori operazioni belliche in quell’area, avevano definitivamente abbandonato quell’avamposto.

In un giorno dell’ottobre 1971 arriva a Valley Forge il capitano Frank Castle, un soldato amato (ma soprattutto temuto) da molti. Il nostro protagonista sa che questo sarà il suo ultimo periodo in quel paese ma allo stesso tempo si rende conto fin da subito che la base sarebbe stata ben presto messa a ferro e fuoco dai Vietcong, desiderosi di riprendersi quella zona.

I look inside myself and see my heart is black

Questo è, in sostanza, il punto di partenza da cui si dipanano le vicende che, nel corso dei quattro numeri della miniserie, accompagneranno il lettore fino al tragico epilogo in cui, metaforicamente parlando, un soldato morirà per lasciare il posto a un vigilante.

Garth Ennis sembra essere nato per raccontarci le storie del Punisher. I suoi testi, non privi di sarcasmo e tagliente ironia, ci mostrano un Frank Castle che lentamente si lascia sedurre e attrarre dai suoi peggiori inner demons. Nel corso della storia, infatti, il protagonista sembra l’unico a non aver perso la speranza di poter sopravvivere contro una sfida più grande di ognuno dei soldati ancora di stanza nella base.

Da questo punto di vista, Castle si fa portatore di un’etica discutibile ma assolutamente adamantina: non c’è possibilità di resa, in quanto la guerra non è solo nel mondo in cui viviamo ma anche dentro di noi, negli anfratti più oscuri della nostra psiche.

Nel corso dei quattro numeri il nostro protagonista porterà avanti tale etica nonostante una situazione all’apparenza senza alcuna logica: soldati demotivati e dediti all’alcol e alla droga, generali inetti e all’apparenza vili e senza nerbo, nemici invisibili e dotati di una forza quasi sovrumana.

Non riuscendo a tollerare una tale situazione, Frank Castle sviluppa lentamente un fin troppo alto senso di giustizia – che però il più delle volte viene confusa con un semplice “punire chi compie un torto” – ma soprattutto una bizzarra quanto inquietante voce interiore.

It’s not easy facing up when your whole world is black

E’ proprio la voce interiore a essere, a mio parere, uno degli elementi più significativi della vicenda. Più si va avanti nella lettura, più il tono e la forza di questa voce diventa forte e persistente. Tale senso di oppressione e pesantezza è anche favorito dall’ottimo lavoro compiuto da Robinson e Palmer.

Il lato grafico di Punisher: Born è assolutamente di primo livello. I grigi, i neri e i colori smorti dell’ambiente fanno da ottimo contraltare, soprattutto nelle spash pages, ai toni più accesi del rosso sangue che donano un sottile e inquietante senso di “vitalità” in una situazione di costante morte e distruzione.

L’apice, a mio parere, si raggiunge nel numero finale in cui il massacro dei soldati americani viene dipinto in modo realistico ma allo stesso tempo come se la vicenda si ponesse in un tempo non storico e irreale.

I have to turn my head until my darkness goes

Cosa altro stai cercando oltre a questo? Io te lo posso dare, Frank. Rispondi No, e non sarai che un altro soldato ucciso in azione di guerra su una collina di cui intanto non importa niente a nessuno. Rispondi Si, e ti darò ciò che hai voluto in tutti questi anni

Con queste parole l’anima nera di Castle propone al comandante un patto, una via di fuga da quella situazione che ha come unico epilogo la morte. Il soldato forgiato dalle mille battaglie, trovatosi di fronte alla prospettiva di essere uno dei tanti caduti sul campo, sceglie di affidarsi alla sua oscurità interiore.

Stremato, mezzo morto e coperto di sangue, Frank Castle sopravvive al massacro annunciato, perdendo allo stesso tempo la sua umanità. “Se guerra deve essere, che sia permanente, eterna, senza tregua”. E’ questo il pensiero che pare abbracciare l’ex soldato ora pronto a diventare vigilante.

Sacrificare la propria umanità, ma a quale prezzo? Non è dato saperlo, almeno nell’immediato. Le ultime vignette del quarto capitolo fanno presagire ai lettori il destino di Frank Castle. Cinque anni più tardi, nel 1976, il nostro ex-marine assisterà impotente all’assassinio di sua moglie e dei suoi due figli a opera di due gang rivali. Distrutto dal dolore, Castle decide di diventare un vigilante solitario la cui unica parola d’ordine è: punire.

Back to a world of killers. Rapists. Psychos. Perverts. A brand new evil every minute

Proviamo ora a trarre alcune conclusioni. Punisher: Born non è un fumetto per tutti. Con queste parole non voglio dire che sia di difficile lettura o che la storia sia pensata for fans only. Al contrario, credo che questa miniserie sia un ottimo punto di partenza per coloro che vogliono approfondire uno dei lati di questo personaggio.

Non è un fumetto per tutti perché, a mio parere, non è una lettura “edificante”. Al contrario, la miniserie ci sbatte in faccia la violenza della guerra e le sue conseguenze sulla psiche umana.

Punisher: Born si configura dunque come un viaggio dentro e fuori la nostra mente. Utilizzando come setting una delle vicende più controverse e terrificanti nella storia militare statunitense, Garth Ennis ci consegna un piccolo spaccato di psicologia.

La miniserie appare allo stesso tempo disturbante e ricca di fascino. Guidandoci per mano negli abissi della mente di Castle, Ennis ci ricorda che questa storia sarebbe potuta accadere a chiunque.

Quasi omaggiando il Joker di Alan Moore, l’autore ricorda a tutti che:

All it takes is one bad day to reduce the sanest man alive to lunacy

La costante tensione tra la parte chiara e gli inner demons è sapientemente dosata nel corso delle pagine. La lenta, ma inesorabile, discesa agli inferi del protagonista non parla solo di un vigilante da fumetto ma parla anche a noi, uomini e donne moderni.

In buona sostanza, un’opera che si legge tutta di un fiato, ben scritta e disegnata. In una parola: una miniserie che fa della sua ambiguità di fondo uno dei suoi punti di forza.