Dopo due stagioni (e uno special di Natale) distribuite da Endemol e andate in onda sulla rete inglese Channel 4, nel 2015 il colosso statunitense Netflix ha acquistato i diritti di Black Mirror, considerata da molti come una delle serie più rivoluzionarie degli anni Duemila.

La terza stagione – apparsa nel 2016 – ha ricevuto feedback contrastanti e alcuni critici non hanno risparmiato frecciate al veleno nei confronti di Netflix, rea secondo loro di aver “americanizzato” (e – di fatto – annacquato) il prodotto.

A fine 2017 sono stati rilasciati i sei nuovi episodi che compongono la quarta stagione. Il sottoscritto e Deiv, dopo aver guardato in tempi diversi le puntate e dopo esserci scambiati al volo alcuni pareri vis à vis, abbiamo deciso di buttare giù questo breve pezzo a quattro mani, nel quale cercheremo di analizzare non tanto ogni singola puntata quanto, al contrario, l’andamento generale della serie, i suoi pregi e i suoi difetti.

Fatte queste piccole ma necessarie premesse, è tempo di iniziare. Questa nuova serie ci ha convinto oppure no? Proviamo a scoprirlo insieme!

Messa in scena, estetica e regia

In primo luogo, soffermiamoci per un momento sulla regia e sull’estetica delle varie puntate. Come già accaduto nella serie precedente, bisogna dire che si rimane piacevolmente colpiti dal lavoro svolto e non ci sentiamo quindi di muovere alcun tipo di critica.

Dal punto di vista estetico, possiamo dire che fin dal primo episodio ogni ambiente o paesaggio che viene presentato è curato fin nei minimi dettagli. L’ambientazione spaziale della prima puntata – volutamente camp e ultra colorata, un chiaro omaggio alla serie originale di Star Trek – e quella islandese del terzo episodio sono, forse, le due vere sorprese di questa stagione che, per il resto, strizza abbondantemente l’occhio all’estetica anni Ottanta e, nell’episodio numero cinque, tenta con successo la strada del bianco e nero, una vera e propria novità di carattere per la serie.
Rispetto al passato, il Black Mirror made in Netflix appare scintillante, sfarzoso e bello da vedere: una vera e propria gioia per gli occhi.

Per quanto riguarda la regia, si vede che il budget è stato ben investito dal punto di vista tecnico. Ogni episodio ha un feel particolare che lo differenzia dagli altri: si passa da una regia che pare presa di peso da un film indipendente (mi sto riferendo al secondo episodio diretto, nientemeno, che da Jodie Foster) ai ritmi più sincopati del quinto episodio.
In generale, quindi, non possiamo segnalare grandi scivoloni: anche gli episodi più “piatti” sono ben girati e curati fino al minimo dettaglio.

Recitazione e caratterizzazione dei personaggi

La nuova stagione di Black Mirror è quasi interamente “al femminile”. A parte l’episodio numero quattro, incentrato su di una coppia, le restanti puntate vedono una o più donne saldamente al comando. Questa scelta, criticata da alcuni, mi è apparsa (Luca) alquanto interessante. Le varie protagoniste che si susseguono sulla scena appaiono sempre ben caratterizzate, con l’eccezione forse della protagonista del primo episodio le cui battutine risultano essere, alla lunga, “sessiste al contrario”.

Una menzione particolare va rivolta alle protagoniste del secondo episodio che riescono perfettamente a mettere in scena la difficile condizione di una madre fin troppo protettiva e di una figlia che vuole (giustamente) trovare il suo posto nel mondo, sbagliando e compiendo ingenuità che però la aiuteranno a crescere.

La scelta di un cast tutto femminile risulta (Deiv) una forzatura interessante, ma non mi ha convinto totalmente: siamo forse agli sgoccioli del “politically correct” forzato tipico delle produzioni americane degli ultimi anni e si vede. Le donne in questa stagione mostrano caratteristiche stereotipate che sembrano scritte da un uomo con una non troppo bella opinione della “donna”. Sia chiaro, non sono contro a protagoniste donne, ma sono contro la stereotipizzazione non necessaria, cosa che è molto evidente in tutti gli episodi e mai positiva.

La presenza di personaggi caricaturali e stereotipati non mi avrebbe scocciato in una serie dai contenuti palesemente ridicoli ma vedere invece una tale situazione in Black Mirror, serie che ha sempre cercato di staccarsi dalle visioni troppo idealizzate per raccontare in modo crudo la realtà, mi ha fatto storcere il naso.

Sceneggiatura

Disturbante e innovativa: ecco, a mio parere (Luca), i due aggettivi che meglio caratterizzavano le prime stagioni di Black Mirror. Nel corso delle puntate andate in onda su Channel 4 lo spettatore era costantemente messo di fronte a situazioni che, pur nella loro “assurdità” o “stravaganza”, erano comunque verosimili.

Che si trattasse di un device in grado di registrare ogni nostro attimo di vita o di un pupazzo televisivo in grado di diventare il paladino delle masse popolari, Black Mirror riusciva a raccontare storie credibili, intrise non solo di caustica ironia ma anche pervase da un senso di sottile inquietudine e paranoia. Ogni episodio, in un certo senso, gettava una luce (più o meno sinistra) sul nostro presente e sul nostro rapporto con la tecnologia, la società e gli affetti più cari.

Nel corso delle ultime due stagioni, però, qualcosa è irrimediabilmente cambiato. Ricordiamoci che, a differenza di altre serie, Black Mirror è un prodotto profondamente autoriale nel quale una sola persona – Charlie Brooker – si occupa della creazione e della stesura di tutte le sceneggiature.

La vena corrosiva e in un certo senso dissacrante di cui abbiamo fatto cenno poco sopra sembra essersi notevolmente affievolita e, se devo essere totalmente onesto, devo dire che questa nuova stagione di Black Mirror a livello di sceneggiatura lascia alquanto a desiderare. A differenza di quanto accaduto in passato, infatti, questi nuovi episodi non solo non appaiono per nulla innovativi – e anzi utilizzano allo sfinimento alcuni elementi e soluzioni narrative già viste in passato – ma sono inoltre piagati da alcuni pesanti buchi e momenti paradossali che non fanno altro che rovinare la visione.

Si badi bene: quando parlo di “buco di sceneggiatura” non mi sto riferendo al piccolo particolare, all’inezia che solo il fan hardcore può cogliere. Sto proprio facendo riferimento a evidenti e palesi mancanze all’interno della storia. L’esempio più calzante per descrivere al meglio quello che intendo è contenuto proprio nel primo episodio, USS Callister.

Nel corso della visione mi sono infatti trovato a riflettere sull’insensatezza delle mosse del villain, all’apparenza invincibile ma in realtà così stupido da non mettere in preventivo un possibile “piano B” o soluzioni di emergenza in grado di salvare il salvabile. Tenendo presente – e senza voler spoilerare – che la maggior parte della vicenda ruota attorno al cattivo… ci troviamo di fronte a un problema non da poco.

Se a Luca ha disturbato la struttura narrativa a me (Deiv) non ha soddisfatto la scrittura dei soggetti, come intuibile dalla precedente critica al ruolo delle donne, e le tematiche affrontate. Non sono riuscito a sentire empatia per i protagonisti/e se non in sporadici momenti e penso che il motivo sia semplicemente che sono tutti dei criminali. Chi più, chi meno, i soggetti di questa serie sono dei criminali contro altri criminali. Parliamoci chiaro: se voglio una serie incentrata sul crimine mi guardo Gomorra e non di certo Black Mirror… Qui i contenuti richiesti sono altri.

Nelle stagioni precedenti lo spirito criminale nel protagonista veniva tirato fuori dall’uso improprio o dall’abuso della tecnologia, questo permetteva una migliore immedesimazione con i protagonisti, il famoso “Guarda cosa succederebbe se usassi/fossi” che ci lega alla poltrona. Invece in questa stagione si parte da azioni/persone criminali e poi ci si connette alla tecnologia, il che dal mio punto di vista, a meno che lo spettatore non sia un criminale in partenza, non permette un’empatia per i protagonisti degli episodi.

In conclusione

Tirando le somme, devo dire (Luca) che la quarta stagione di Black Mirror mi ha lasciato piuttosto indifferente. Rispetto agli episodi del 2016 qui manca veramente “il pezzo da novanta”, ovvero quella puntata che per un motivo o per l’altro può essere considerata memorabile o comunque degna di essere raccomandata agli amici.

Come avrete notato, io Deiv abbiamo faticato non poco a vedere tutto di un fiato i sei episodi, quasi come se non avessimo né la forza, né gli stimoli necessari per terminare tutta la serie.
Se le stagioni passate hanno tutte avuto uno o più episodi epici e a volte perfino innovativi dal punto di vista delle tematiche, questa sesta serie sembra invece voler marcare tanto sul fattore “YOLO tecnologia” e poco sulla riflessione dedicata al presente.

Dal nostro punto di vista, infatti, le serie precedenti catturavano lo spettatore perché parlavano di argomenti molto vicini alla realtà di tutti i giorni, mentre questa stagione parte con un episodio che in un certo senso getta la serie in un baratro: si parte da una situazione al limite del possibile che però viene immediatamente “decostruita” spoilerando in faccia allo spettatore quale sia il problema di fondo… che viene poi risolto in modo tutt’altro che innovativo. Non è questa la struttura che ci ha fatto innamorare delle serie passate.

A malincuore dobbiamo quindi concludere dicendo che questa nuova serie soffre di alcuni (molti?) difetti tipici delle produzioni di questi ultimi anni, tra i quali quello più grave è l’incapacità di fornire allo spettatore storie in grado di farlo riflettere, arrabbiare ma anche – e perché no? – solidarizzare con i vari protagonisti. Per usare un gioco di parole, la nuova serie di Black Mirror è come uno specchio nero dove non puoi rifletterti, un giocattolo inutilizzabile, un prodotto molto curato a livello visivo ma purtroppo vuoto di contenuti e di idee innovative. Siamo arrivati a una rottura dello specchio che tanto ci aveva fatto sognare in passato?

Specchi rotti:
  • Scimmia
  • Storia
  • Effetti
  • Presa
2.1

Riassunto

La quarta stagione di Black Mirror è, a nostro parere, una proverbiale “occasione sprecata”. Rispetto a quanto avvenuto in passato, nessuna puntata è stata in grado di tenerci incollati alla sedia e la sensazione generale è quella di stare assistendo al lento (ma inesorabile) declino di un format che, almeno all’inizio, appariva fresco, innovativo e in grado di farci riflettere sul complesso rapporto tra l’umanità e la tecnologia. A malincuore, sconsigliata.