L’età avanza e i giochi di qualità escono, sempre in maggiore quantità: ergo, i prezzi calano e, grazie anche alla magia dell’internetto, si diffondono maggiormente. Oggi con pochi spiccioli al mese è possibile portarsi a casa una decina di titoli di qualità. Se questo è un bene in quanto diffusione culturale di un medium di nicchia (un tempo), dall’altro per noi appassionati comincia a diventare oneroso il peso della lista di titoli che ci portiamo sul groppone ancora da giocare. Come ce la gestiamo? Non sempre al meglio, ma confrontandoci proviamo a trovare una quadra, chissà possa essere d’aiuto a voi e a noi.

Historia Deiva

I videogames li ho sempre vissuti come un bene, un lusso di cui poter fruire in tempi limitati. Pomeriggi in cui poterci dedicare un’ora al massimo e prezzi (PC) che svettavano le 50 000 lire per raggiungere le 100 e superarle, rendevano ogni demo fonte di infinite ore di divertimento. Di conseguenza i titoli non si accumulavano ma anzi venivano spolpati a dovere fino all’osso, compresi glitch ambientali e modding avanzato. Così è nata la passione per giochi che richiedevano una certa abilità che si acquisiva col tempo (corse, sparatutto, simulatori, rts, skateboard!..).

Poi è arrivata la connessione veloce e tutte le tecnologie di digital content delivery che ci affollano tutt’ora e i saldi di Steam con pure quella malattia mensile che sono Humble Bundle. Ne abbiamo parlato già qualche volta, ma per chi non sapesse, gli Humble Bundle sono dei pacchi di giochi (da 5 a 15 e più) che si prendono in cambio di donazioni verso opere caritatevoli: tanti giochi in una transazione e zero sensi di colpa. Quindi se prima il gaming era dosato e pesato in base a degli oculati investimenti e strategie di bilancio paghettesco, poi sono diventati “prendi tutto che tanto costa poco”, creando quello che è il backlog della morte.

quel trauma, titoli presi nel 2012 e ancora mai neanche installati…

Se questo mi ha allargato gli orizzonti, mi ha anche ristretto le possibilità di approfondire e apprezzare i titoli come facevo un tempo. Certo ho affrontato (e ri-affrontato) avventure che non mi sono potuto permettere al momento dell’uscita, sia per specifiche tecniche che monetarie, ma senza una giusta dedizione temporale, spesso portandomi ad abbandonare il titolo appena finita la quest principale per la foga di non volerci perdere troppo tempo che ci sono anche altri titoli da giocare.

Ora non condanno questa modalità perché come effetto secondario ho cominciato ad apprezzare gli action RPG, che mischiano quell’immediatezza dei giochi d’azione e un gameplay tutto sommato divertente a delle belle storie: penso ai Batman e ai Witcher per esempio che non dovrebbero essere lasciati indietro da nessuno, mentre d’altra parte sto perdendo quella passione del dedicarmi a migliorare le mie personali skill nel gioco, in quanto perdita di tempo in confronto a quanti giochi ho e non ho mai neanche installato.

Luke’s Cage

Mi trovo in una situazione simile ma, al contempo, diversa da quella del buon Deiv. Come giocatore io “nasco” consolaro o, ancora meglio, consolaro di gruppo. La cumpa storica con cui bazzicavo negli anni della prima adolescenza considerava il PC come una sorta di instrumento dellu dimonio, buono solo per scrivere testi in WorldPad, creare tabelle di Excel o “surfare” senza pensieri nell’Internet. Il gioco su PC appariva, ai loro occhi, come qualcosa di arcano e di difficile comprensione…

Nella nostra compagnia le regole erano chiare. Il più “abbiente” del gruppo comprava o si faceva donare in modi non proprio legali (leggi: “ahr ahr sono un Pirata”) alcuni giochi per console che poi venivano spolpati dal gruppo nel corso di lunghe sessioni pomeridiane. Ricordo ancora con affetto – e anche per il quantitativo improponibile di bestemmie lasciate uscire dalle nostre tenere labbra – le infinite partite a Micro Machines 2 su Mega Drive (definita con il nickname de “la cartuccia in grado di rovinare amicizie decennali”) per poi passare, anni dopo, a intense sedute con i vari capitoli di Tomb Rider per PlayStation e con giochi più “corali” come Fifa 98, che ancora oggi considero come il migliore party game a tema calcistico.

Prima del backlog, ovvero come un gioco può essere comprato, finito e rigiocato fino allo sfinimento…

A questo primo step ne seguì – alcuni anni dopo – un secondo, ovvero il passaggio in massa dell’intera cumpa al gioco per PC. La modalità era sempre la medesima: qualcuno comprava il gioco originale e poi, non senza un “lauto” compenso, lo forniva a cascata a tutti gli altri membri. Il prodotto, poi, veniva giocato o in gruppo – come ad esempio il buon vecchio e caro Mist, finito dalla cumpa a casa mia dopo almeno 6 mesi di gioco “in finto coop” – oppure in singolo, riferendo agli altri i propri progressi.

In queste prime fasi, come si può notare, il concetto di backlog era del tutto inesistente: i titoli erano pochi e si cercava di condividere il più possibile, esplorando ogni anfratto del gioco e rigiocandolo anche più volte di fila, se necessario.

Con l’avvento di piattaforme come Steam, la mia esperienza videoludica è cambiata nettamente. Dopo lo scioglimento della cumpa, il videogioco è diventato per il sottoscritto un’esperienza prettamente single player. Grazie al buon Gabe, ho potuto recuperare a pochi spicci titoloni che mi ero perso in passato e che, faticosamente, ho cercato di finire in religioso ordine di acquisto.

Ecco… Cercare è forse il verbo che meglio si adatta alla mia esperienza! Dopo un primo periodo di accumulo – quasi – compulsivo mi sono reso conto di aver racimolato giochi per almeno una o due vite! Oggi mi trovo in una situazione alquanto paradossale: se da un lato ho veramente poco tempo da dedicare al videoludo, dall’altro non perdo occasione per controllare sconti, offerte e quant’altro al fine… di incrementare il mio backlog.

Nell’anno di grazia 2018 mi ritrovo ad aver installati sul mio disco duro una manciata di titoli che periodicamente tento di finire… con poco successo. La lista di “piccole perle” mi osserva e a volte mi sento anche un po’ “colpevole” di non aver maggior tempo per poter godere con calma di alcuni titoli comprati nella notte dei tempi…

Dietrolog?

Ma il backlog…un altro inglesismo acquistato dal campo dell’informatica, è sempre un qualcosa di sano? Credo (Luca) che la pratica di accumulare – più o meno in modo compulsivo – oggetti sia qualcosa di profondamente radicato nell’animo umano. Alcuni sostengono che il backlog non sia altro che una forma (perversa) di collezionismo: i titoli vengono religiosamente acquistati e poi sistemati sullo “scaffale virtuale”, in attesa. Credo che la formazione della propria “riserva di giochi” sia oggi favorita essenzialmente da due fattori: costi (relativamente) bassi dei prodotti e facilità di reperimento degli stessi.

Alla fine tra sconti, key gratis e promozioni… la tentazione è forte. Non mi sento affatto colpevole di aver accumulato un backlog di “un certo livello”. Al massimo, posso promettere a me stesso di fare un piccolo passo in avanti, ovvero tenere a bada per un attimo la potente scimmia interiore al fine di gustarmi i prodotti che ho, senza dover per forza rincorrere l’ultimo titolo AAA o il prodotto scontato.

Il backlog come libreria nella quale conservale solo i titoli di pregio?

D’altra parte, per me (Deiv), il backlog ha una funzione catartica di freno all’acquisto smodato compulsivo. Mi spiego: all’inizio l’istinto è stato più forte della ragione e le offerte sono state fin troppo belle per essere ignorate, ma l’accumulo compulsivo ha raggiunto un punto che mi crea un blocco davanti a nuovi possibili acquisti. Se per i titoli in uscita ho un freno, sia dal punto di vista di investimento che dedizione temporale fuori dai miei orizzonti, le offerte continuano a tentarmi ma non mi faccio più ammaliare facilmente. La lista funziona come coscienza o, meglio, come senso di colpa pratico contro cui non posso girarmi e chiudere gli occhi ma a cui devo sempre rispondere, soprattutto quando ne aggiungo un ulteriore tassello.

ci son quei titoli che difficilmente avrò voglia di ri-scoprire, ma per me valgono come collezionismo più che completismo

Facendo un giro di domande tra amici e conoscenti, la situazione sembra comune: ognuno ha ormai accumulato già una lista di titoli che forse potrebbe non essere neanche in grado di completare in questa vita, ma ognuno reagisce in modo diverso. C’è chi li usa come “trofei”, chi li colleziona come memorie d’infanzia, chi a fatica prova a finirli tutti e chi, semplicemente li ignora, come una libreria di libri comprati per far numero più che cultura. E voi, come affrontate questa maledizione digitale?